da Redazione | 17 Febbraio, 2020 | Normative, Cultura, Mondo
Legalizzare la cannabis dal punto di vista economico significa creare lavoro. E non poco se si guardano i dati reali che arrivano dagli Stati Uniti e le proiezioni fatte dagli analisti. Il milione di posti di lavoro che Silvio Berlusconi promise nel lontano 2001 con il mai realizzato “contratto con gli italiani” negli USA secondo gli analisti sarebbe realtà già oggi, se tutti i 50 stati avessero legalizzato la cannabis, cosa che è invece avvenuta per ora in 11 paesi. Secondo un recente report di New Frontier Data, sotto una piena legalizzazione federale i posti di lavoro potrebbero essere stati 1,46 milioni nel 2019, per arrivare a oltre 1,6 milioni nel 2025.
Ma già oggi la cannabis legale è il settore che sta creando negli Stati Uniti il più alto numero di posti di lavoro in assoluto. Lo raccontano i dati raccolti dagli analisti di Leafly, che pubblicano un report annuale sul tema che racconta che a gennaio 2020 i posti di lavoro a tempo pieno connessi al settore fossero 243700, che diventano 340mila considerando anche quelli part-time secondo le stime di New Frontier.
Anche in un anno difficile per il settore, come è stato il 2019, sono state create quasi 34mila nuove posizioni lavorative a tempo pieno. Un aumento che nel 2018 si era attestato a 68mila nuovi posti. In generale dai circa 122mila lavori del 2017 si è passati ai 240mila di fine 2019, con una crescita incredibile, se paragonata ad altri settori. La cannabis infatti cresce di oltre il 110% in soli 3 anni e, per fare un esempio, per il settore degli installatori di pannelli voltaici in USA è attesa una crescita del 100%, ma in dieci anni, non in 3.
Secondo gli esperti: “L’industria della cannabis ha sofferto i primi dolori della crescita nel 2019. L’esuberanza irrazionale del 2018 ha lasciato il posto alla realtà di un mercato canadese a crescita lenta, alla contrazione del capitale di investimento, alla crisi sanitaria nazionale che sta svanendo e ai licenziamenti di alcuni dei marchi leader del settore”. Ma: “Queste battute d’arresto sono state più che compensate da un’enorme crescita in nuovi mercati come il Massachusetts, l’Oklahoma e la Florida”.
La California, nonostante un 2019 travagliato per il fatto che nel paese si sta assestando la situazione post legalizzazione che ha visto il via nel 2018, rimane il più grande datore di lavoro legale di cannabis in America. Ma è il Colorado dove c’è il maggior numero di cannnabis job pro capite con un posto di lavoro ogni 165 residenti. Intanto il Colorado continua a superare lo stato di Washington. Entrambi gli stati hanno legalizzato la cannabis nel 2012, ma l’industria del Colorado vanta quasi 10mila posti di lavoro in più rispetto a Washington, anche se quest’ultimo ha quasi due milioni di residenti in più.
A livello generale, secondo Ian Siegel, CEO dell’agenzia per trovare lavoro ZipRecruiter.com, le offerte di lavoro connesse a questa nuova industria sono cresciute del 445% dal 2017 al 2018 e di oltre il 200% nel 2019. La stessa agenzia nel febbraio 2019 ha almeno 1400 posizioni aperte, che vanno dal tecnico di laboratorio richiesto ad Adelanto, in California, con una paga oraria compresa tra i 14 e i 16 dollari, o tecnici per l’estrazione di principi attivi che potrebbero puntare ad uno stipendio annuale compreso tra i 40mila e i 60mila dollari che diventerebbero tra i 65 e i 90mila l’anno per il ruolo di Extraction Lab Manager.
Insomma, posizioni ben definite e soprattutto ben retribuite, proprio perché prevedono un’ottima preparazione e una necessaria specializzazione che sta andando di pari passo con la crescita del mercato.
Fonte: www.fanpage.it/
da Redazione | 28 Gennaio, 2020 | Cultura
Esaminando la Cannabis i ricercatori hanno potuto verificare come questa pianta possieda notevoli qualità terapeutiche. Essa infatti contiene un ricco assortimento di molecole, ciascuna delle quali capace di generare specifici effetti sul nostro organismo. In modo particolare, la Cannabis produce delle sostanze conosciute come Cannabinoidi.
Ad oggi è stato possibile individuare più di 100 molecole capaci di offrire potenziali capacità terapeutiche. Particolarmente presente nella canapa è il THC, sostanza psicotropa responsabile del cosiddetto “sballo”. Ma nella Cannabis Sativa si trova anche il CBD, ovvero il cannabidiolo; metabolita dai numerosi effetti benefici per la salute.
Oggi il mercato offre prodotti quali l’Olio CBD che ben poco hanno a che vedere con l’Olio di Cannabis. Attraverso questo articolo avrai modo di scoprire qual’è la differenza tra queste due sostanze e quali sono i benefici (o gli effetti collaterali) che le contraddistinguono.
Effetti Cannabis e CBD. Ecco come riconoscere la differenza
La Cannabis Sativa ancora oggi viene associata principalmente allo “sballo”, determinato dal THC, presente in modo particolare nei germogli giovani della pianta. Tale cannabinoide, legandosi ai recettori CB1 del sistema nervoso centrale, causa notevoli alterazioni psico-fisiche transitorie. Per sfruttare tutti i benefici e gli effetti terapeutici del CBD, senza dover obbligatoriamente sperimentare tali alterazioni, oggi è possibile isolare il cannabinoide.
Solitamente le diverse varietà di Cannabis destinate a scopi terapeutici non contengono una quantità di CBD sufficiente. Per tale ragione viene utilizzata la cosiddetta “Canapa per uso industriale”, una pianta specificatamente selezionata per produrre minime quantità di THC ed elevate dosi di CBD. Le piante di Cannabis Sativa per uso ricreativo permettono invece di estrarre una sostanza ricca non soltanto di CBD ma anche di THC. Il risultato finale sarà l’Olio di Cannabis, (e non l’Olio di CBD).
CBD Oil: di cosa si tratta?
Ciò che differenzia l’Olio CBD dall’Olio di Cannabis è essenzialmente il quantitativo di THC presente. Il CBD Oil viene estratto esclusivamente da Canapa per utilizzo industriale, scrupolosamente selezionata. Per questo motivo le tracce contenute di THC sono decisamente esigue (inferiori allo 0,3%). Proprio perché le molecole THC presenti sono in quantità minime, l’Olio CBD può essere assunto liberamente, senza determinare alcun effetto psicotropo.
I prodotti a base di CBD oggi sono reperibili un po’ dappertutto; dalle erboristerie ai supermercati. Sottoposto costantemente a studi e controlli scientifici, il CBD è legale in tantissimi paesi occidentali, dove viene consigliato grazie alle sue proprietà terapeutiche e ad un’eccellente controllo sicurezza che garantisce l’assenza totale di effetti capaci di alterare le percezioni.
Cannabis Oil: di cosa si tratta?
Differentemente dall’Olio CBD, l’Olio di Cannabis viene estratto da piante di canapa in cui la componente di THC è particolarmente elevata. Per poterlo realizzare vengono utilizzate varietà di Cannabis capaci di alterare le percezioni. L’Olio della Cannabis racchiude anch’esso elevate dosi di CBD. Tuttavia, se presenti percentuali di THC superiori al limite stabilito dalla legge (0,3%), o se semplicemente ricavato da una varietà di Canapa per uso ricreativo, esso non potrà essere classificato come Olio CBD. Illegale in diversi Paesi, a causa dell’alta presenza di THC, l’Olio di Cannabis non può essere prodotto e posseduto, poiché vietato.
CBD Oil a cosa serve?
Nonostante le normative sempre piuttosto rigide, la scienza ha messo in atto diversi studi sugli effetti benefici dell’Olio CBD, scoprendo numerose virtù del tutto inaspettate. Le ricerche più recenti hanno infatti evidenziato che il CBD è in grado di offrire proprietà antinfiammatorie e antiossidanti nonché neuroprotettive e antiepilettiche. I ricercatori ritengono che questo cannabinoide riesca a produrre tali effetti attraverso precisi meccanismi d’azione.
Il Cannabidiolo (CBD) interagisce con il cosiddetto sistema endocannabinoide, capace di regolare numerose funzioni, quali l’umore, l’appetito, il metabolismo e la risposta immunitaria.
Diversi sono i consumatori di CBD Oil che desiderano alleviare sintomi infiammatori tipici di patologie quali il morbo di Crohn e altre problematiche intestinali. Le ultime ricerche hanno infatti dimostrato che il CBD presenta potenzialità capaci di trattare le malattie infiammatorie dell’intestino.
Gli sportivi e gli atleti professionisti spesso scelgono di assumere CBD per calmare e ridurre l’infiammazione e il dolore muscolare tipicamente riscontrabile a seguito di allenamenti intensivi.
Anche disturbi come ansia e sbalzi d’umore possono essere alleviati utilizzando l’Olio CBD. Questo prezioso cannabinoide vanta potenziali qualità terapeutiche perché capace di agire direttamente sul nostro sistema nervoso centrale. Alcuni studi sembrerebbero provare che il CBD risulterebbe efficace anche nel caso di stress post-traumatico, depressione o problemi di tipo ossessivo-compulsivo. Essendo completamente privo di effetti psicotropi, quest’Olio di Canapa legale, così raffinato, è indicato per un’assunzione priva di ripercussioni sulla lucidità mentale.
Gli Oli CBD di qualità contengono una formulazione completa che include anche altre molecole della Canapa, particolarmente benefiche, come per esempio i terpeni. Questi hanno il compito di svolgere un’azione amplificante dell’effetto terapeutico di quest’olio 100% naturale.
CBD effetti collaterali
Generalmente ben tollerato, l’Olio di Canapa, assolutamente privo di quegli effetti psicotropi tipici della cannabis, presenta rare controindicazioni quali; abbassamento della pressione, secchezza delle fauci, disturbi intestinali transitori e spossatezza temporanea. Utilizzando la giusta dose, tali effetti collaterali tendono a sparire del tutto nella maggior parte dei casi.
Fonte: ilmamilio.it
da Redazione | 25 Gennaio, 2020 | Normative, Cultura, Italia
Uno degli argomenti sostenuti da chi si oppone alla legalizzazione dell’uso ricreativo della cannabis è un asserito e potenziale aumento dei pericoli stradali.
Alcuni tossicologi si sono posti il problema di verificare le conseguenze dell’uso della cannabis sulla guida e la durata degli effetti deleteri nel tempo con risultati tranquillizzanti.
Il tema riguarda ovviamente anche l’uso della cannabis terapeutica atteso che i consumatori potrebbero essere privati dell’uso della patente dalle commissioni mediche.
Il problema più grave è che, a prescindere dalla distinzione fra l’uso terapeutico e ricreativo della cannabis, se venisse riscontrata una positività alle analisi durante un controllo, al conducente potrebbe essere contestata la contravvenzione di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti che costituisce un reato severamente punito.
Ma è necessaria qualche puntualizzazione.
È notorio che le analisi di campioni biologici, sangue ed urine, possono dare risultati positivi anche nel caso in cui l’effetto della alterazione si sia ormai estinto.
In particolare, per quanto riguarda le urine, le tracce di THC possono residuare per oltre 15 giorni, ma gli effetti comportamentali che possono influire sull’abilità di guida svaniscono in breve tempo, nel giro di poche ore.
Anche le analisi del sangue, seppure più precise, rischiano di non essere univoche.
D’altra parte, la fattispecie di guida sotto l’influenza di stupefacenti non prevede nessuna soglia “di positività” oltre la quale è configurabile il reato, a differenza del reato di guida in stato di ebbrezza.
Ecco dunque che alcuni principi di tossicologia sono stati recepiti dalla giurisprudenza italiana.
Già nel 2004 la Corte Costituzionale aveva chiarito (con l’ordinanza n. 277) che la fattispecie di guida in stato di alterazione (art. 187 c.s.) è costituita dal concorso di due elementi qualificanti: “Da un lato lo stato di alterazione, capace di compromettere le normali condizioni psico-fisiche indispensabili nello svolgimento della guida e concretizzante di per sé una condotta di pericolo per la sicurezza della circolazione stradale; dall’altro, l’assunzione di sostanze (stupefacenti o psicotrope), idonee a causare lo stato di alterazione, per l’accertamento del quale (…) non è sufficiente la mera osservazione o la descrizione di una determinata sintomatologia, ma è necessario il riscontro di idonee analisi di laboratorio”.
In altre parole, il fatto che le analisi siano positive non è un elemento sufficiente per essere condannati, come non è sufficiente un comportamento anomalo (o altri sintomi) non affiancato da analisi tecniche.
Anche la giurisprudenza della Suprema Corte ha recepito questa impostazione in numerose pronunce.
In particolare si è più volte affermato che, per giungere alla affermazione della responsabilità penale, non è sufficiente provare l’assunzione di stupefacenti precedente alla guida, ma è altresì necessario raggiungere la prova di un attuale stato di alterazione determinato da tale assunzione.
D’altra parte, le sostanze stupefacenti, a differenza dell’alcool (che viene velocemente assorbito dall’organismo) lasciano tracce che permangono nel tempo e “l’esame tecnico potrebbe avere un esito positivo in relazione ad un soggetto che ha assunto la sostanza giorni addietro e che, pertanto, non si trova al momento del fatto in stato di alterazione per tale causa” (cfr. Cass. Pen. Sez. IV n. 16949/2015 e Cass. Pen. Sez. IV n. 12409/2019).
Ma allora come può essere provato che lo stato di alterazione sia in corso al momento della guida e che sia causato proprio dalla assunzione degli stupefacenti?
Raggiungere la prova non è semplice, come d’altra parte risulta dalla pacifica giurisprudenza in materia. Normalmente lo stato di alterazione deve essere verificato dalle forze dell’ordine, sulla base del comportamento tenuto dal conducente al momento del controllo, sulla base della condotta di guida o sulla base di altri sintomi evidenti. I comportamenti devono però essere assolutamente anomali e, ad esempio, non può essere ritenuto sufficiente per giustificare una condanna il semplice nervosismo o l’atteggiamento sospetto non meglio definito, né può essere ritenuta dirimente una camminata “barcollante” (cfr. Cass. Pen. Sez. IV, n. 41875/2018)
In conclusione
Sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte il reato di guida in stato di alterazione psico fisica determinato dall’uso di stupefacenti non è riscontrabile automaticamente, sulla base delle semplici analisi positive, ma è necessario che ricorra anche la prova di uno stato di alterazione determinato dall’uso di stupefacenti.
Lo stato della giurisprudenza potrebbe, a nostro avviso, aiutare ad orientare le commissioni mediche allorché si trovino a dover valutare il rilascio della patente di guida ai soggetti che, per necessità, debbano far uso di cannabis terapeutica.
Se è vero che nessuno può guidare in stato di alterazione per innegabili ragioni di sicurezza, è altrettanto vero che chiunque deve avere il diritto di guidare quando gli effetti collaterali dei farmaci assunti tempo prima non sono riscontrabili.
Fonte: droghe.aduc.it
da Redazione | 20 Gennaio, 2020 | Cultura, Italia, Normative
I semini hanno iniziato a germogliare. Sono piante di cannabis che, una volta cresciute, produrranno infiorescenze che saranno donate ai pazienti che ne hanno fatto richiesta. E’ la disobbedienza civile lanciata dal Cannabis Cura Sicilia Social Club lo scorso 30 novembre, con una conferenza molto partecipata, anche da istituzioni e forze dell’ordine, dove, oltre al racconto delle potenzialità mediche della cannabis da parte di medici e ricercatori, hanno sottolineato l’impossibilità ad andare avanti in questa situazione.
In Italia la sanità è gestita a livello regionale e ci sono amministrazioni che hanno legiferato prevedendo la rimborsabilità della cannabis per una serie di patologie, e altre, come quella siciliana, che non hanno ancora approvato nessuna legge. La conseguenza è che nel nostro paese ci sono pazienti che possono curarsi con la cannabis in modo gratuito e altri che devono spendere anche più di mille euro al mese per i propri piani terapeutici.
Lasciando stare per il momento gli altri problemi come la carenza di cannabis che si verifica ciclicamente, o la scarsità di medici che la prescrivono e la conoscono e di farmacie che ne effettuino le necessarie preparazioni, in Sicilia la situazione è in stallo da anni. Non sono bastati i tavoli tecnici e le riunioni istituzionali per cambiare la situazione e così i pazienti sono passati all’azione.
“Stiamo coltivando le prime piantine e procedendo a seminare le altre”, racconta Florinda Vitale che gestisce l’associazione insieme al compagno Alessandro Raudino, affetto da sclerosi multipla. “Nel frattempo abbiamo affidato la nostra tutela giuridica agli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti di Tutelalegalestupefacenti.it, avvocati esperti del settore cannabis. Ad oggi siamo a circa 20 piantine per pazienti siciliani e altri da tutta Italia. Ci stanno arrivando molte richieste e il nostro appello va a tutte le realtà che abbiano voglia di collaborare con noi in questo progetto affinché ci aiutino e ci supportino”.
Alla disobbedienza civile lanciata dal gruppo siciliano è possibile aderire in due modi: i pazienti interessati ad avere una piantina coltivata dall’associazione possono firmare il modulo creato ad hoc. Ma anche chi non è affetto da nessuna patologia può scegliere di firmare un modulo a sostegno dell’operazione in cui vengono ricordati diritti fondamentali come quello alla salute, presente nella nostra Costituzione, e di aderire alla disobbedienza al fine “fine di dare visibilità ad un enorme problema, volutamente e volgarmente sminuito”.
Fonte: fanpage.it11
da Redazione | 17 Gennaio, 2020 | Cultura, Italia, Notizie
C’è un cortocircuito sull’uso della cannabis per la terapia del dolore in Lombardia. Tutto a causa di nuove regole prescrittive (la circolare 41027/2019) che “cozzano” con quelle precedenti ma non annullano i piani semestrali di terapia, indispensabili per poter avere accesso ai farmaci.
Quello che sta accadendo ha dell’assurdo: il malato, con in mano una prescrizione perfettamente valida, redatta con le regole in vigore fino al 31 dicembre 2019 e mai formalmente annullata dalla circolare entrata in vigore a gennaio, si reca in farmacia per la preparazione mensile; ma il farmacista, che deve applicare le nuove regole alla lettera, non accetta la prescrizione. E il paziente torna a casa a mani vuote, salvo poi correre (anche senza appuntamento) in uno degli ambulatori lombardi di terapia del dolore per farsi redigere un piano terapeutico in tutta fretta con le nuove regole.
La denuncia arriva da Marco Cerasa, medico di terapia del dolore dal 2019 al Niguarda dopo una lunga esperienza al San Paolo, che ha scritto una lettera al sito Quotidianosanita.it per spiegare la situazione. Il cortocircuito deriva dal fatto che, dal 2020, la Regione chiede che venga scritto il dosaggio espresso in milligrammi di Thc o Cbd, i due principi attivi della cannabis. Una richiesta che prima non era prevista.
La soluzione? Secondo Cerasa sarebbe semplice: «Una circolare ad hoc che potrebbe rendere chiara la piena validità dei piani terapeutici emessi nel 2019, consentendo quindi al farmacista, senza potenziale violazione di norme, di accogliere ancora le prescrizioni sul ricettario regionale emesse secondo le vecchie regole, magari per i primi sei mesi del 2020, evitando in tal modo importanti disservizi a pazienti già sofferenti». La questione è già approdata in Regione: il consigliere di +Europa Michele Usuelli ha scritto all’assessore al welfare Giulio Gallera proponendo un’altra soluzione, ovvero quella di accettare tutti i piani terapeutici del secondo semestre 2019, che non sarebbero ancora scaduti in modo “naturale”.
Fonte: milanotoday.it
da Redazione | 15 Gennaio, 2020 | Cultura, Mondo, Normative
In Olanda le vendite di marijuana sono iniziate negli anni Settanta in speciali locali, noti come coffee shop. Per molti anni Amsterdam è stata considerata e definita la capitale mondiale della marijuana: sebbene nella legislazione olandese la cannabis sia tecnicamente vietata, la legge non persegue le persone per consumo e detenzione fino a 5 grammi. Tuttavia nel nuovo millennio l’Olanda ha iniziato a perdere terreno nell’emergente mercato globale della cannabis in virtù della mancata piena legalizzazione e dello scarso sostegno del settore da parte del governo.
Un altro fattore che ha intaccato la leadership olandese è stata la legalizzazione e la conseguente apertura di nuovi mercati, tra cui Bloomberg elenca gli Stati Uniti ed il Canada. Allo stato attuale, 11 Stati hanno legalizzato la marijuana negli Usa. Nel 2018 il Canada è diventato il secondo Paese al mondo dopo l’Uruguay ad aver legalizzato completamente la cannabis.
Le autorità olandesi stanno cercando di fermare il declino del settore e dare un nuovo impulso a questo business. In particolare, sono state approvate norme nell’ottica della liberalizzazione, che danno alle aziende di cannabis il diritto di espandere le proprie reti e aprire nuovi coffee shop per il consumo dei propri prodotti. Tuttavia gli esperti sostengono che queste misure di difesa siano state adottate tardivamente. Pertanto, secondo David Duclos, direttore marketing di Sensi Seeds, società olandese produttrice di semi, l’Olanda riuscirà a rimanere il centro mondiale della cannabis per qualche altro anno, ma inevitabilmente cederà il passo ad altri Stati.
Secondo Duclos, la probabilità che le società locali recentemente autorizzate possano competere con le emergenti aziende americane o con gli abusivi del settore è estremamente bassa. All’Olanda la perdita della leadership nel mercato della cannabis costerà miliardi di dollari, afferma convinto l’esperto.
Fonte: it.sputniknews.com
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