da Redazione | 17 Agosto, 2020 | Mondo
Il governo thailandese martedì 4 agosto ha approvato una proposta del ministero della sanità pubblica che consentirebbe agli operatori sanitari, agli agricoltori e ai pazienti medici di coltivare, produrre ed esportare la cannabis e i suoi prodotti. Il vice portavoce del governo Trisulee Trisaranakul ha dichiarato che il ministro della sanità pubblica Anutin Charnvirakul ha presentato un progetto di modifica della legge sui narcotici per estendere l’accesso alla cannabis medica. Il progetto di modifica consentirebbe ai pazienti con ricetta medica, professionisti della medicina tradizionale e applicata e agricoltori di chiedere il permesso al ministero di produrre, importare, esportare, distribuire e possedere Cannabis.
La legge esistente lo consente solo alle unità governative e agli addetti ai lavori sulle politiche di sviluppo della cannabis medica, e con il permesso del ministero vi si possono dedicare per sviluppare conoscenze mediche in collaborazione con il governo. Il disegno di legge conferirebbe inoltre al Ministero della sanità pubblica la responsabilità dell’uso della cannabis sequestrata per uso medico. Il progetto sarà inviato al Consiglio di Stato per il controllo giuridico e la messa a punto, quindi al Parlamento per un voto.
La legislatura thailandese nel 2018 ha modificato la legge sulle droghe del Paese per consentire l’uso medico autorizzato di Cannabis e kratom, una pianta coltivata localmente tradizionalmente usata come stimolante e antidolorifico.
La Thailandia era precedentemente nota per le dure leggi antidroga, ma ora sta ponendo la sua attenzione sul potenziale economico della cannabis. Un rapporto dello scorso anno di Prohibition Partners, che sostiene di essere autorità leader in materia, afferma che il mercato asiatico della cannabis terapeutica varrebbe circa 5,8 miliardi di dollari entro il 2024. A gennaio, la Thailandia ha aperto le sue prime due cliniche a tempo pieno che dispensano olio di cannabis per uso medico
da Redazione | 17 Agosto, 2020 | Mondo
La canapa potrebbe essere il nuovo «green business» dalla uova d’oro? Lo abbiamo chiesto a Pierluigi Santoro, founder di Fioridoro, attivo nella coltivazione di cannabis e produzione di biomassa per l’industria
Se associate la cannabis solo alla pianta che viene usata per uso ricreativo o per le sue virtù terapeutiche, siete fuori strada. Da tempi antichissimi la cannabis sativa è stata usata per ricavare fibre tessili e come materia prima per la produzione di carta (che richiede meno additivi chimici di quella di legno e ha nella coltivazione una resa quattro volte superiore). La stessa cannabis (sempre quella sativa) che a differenza della sua sorella indica, a forte contenuto di THC (quella illegale), è usata anche per produrre plastica biodegradabile, combustibile, bottoni e persino mattoni. E che in campo alimentare con il suo olio è famoso per l’alto contenuto di Omega 3 e Omega 6, mentre semi e farina sono proteici e ricchi di vitamine e minerali. Per non parlare delle sue virtù di bellezza, dato che viene usata come ingrediente per prodotti cosmetici.
Datemi un seme e cambierò il mondo
Un uso in settori che vanno ben oltre la semplice «cannabis light» e spaziano dalla cosmesi alla farmaceutica al tessile fino alla bioedilizia. «Le virtù della cannabis erano ben note fin dall’antichità. L’Italia fino agli anni ‘40 era la seconda produttrice mondiale di canapa, poi il proibizionismo ha bloccato tutto» ci spiega Pierpaolo Santoro, uno che di cannabis se ne intende.
Agronomo, dopo aver lavorato in USA per il lancio di una startup nel campo dei biocarburanti e ad Amsterdam, Santoro ha fondato tre anni fa la Fioridoro, tra le prime aziende specializzate nella riproduzione delle piante a bassa contenuto di THC ma alto di altri cannabinodi ai fini estrattivi. «Siamo un’impresa vivaistica che si occupa della riproduzione di piante di cannabis certificate», spiega l’imprenditore e agronomo, tra i primi ad avviare il business per la produzione di piantine di cannabis in Italia. «La base si trova a Grottaglie, nel tarantino, dove organizziamo, insieme alle aziende farmaceutiche e gli agricoltori, filiere per la coltivazione della cannabis usata sia come biomassa per scopi industriali, ma anche a scopo ricreativo (la cannabis legale). Le coltivazioni avvengono a Napoli, in Sicilia e Sardegn, mentre a Viareggio c’è il laboratorio di ricerca e sviluppo».
Un green new deal molto promettente
La Filodoro e le altre concorrenti si muovono in un mercato molto promettente. Secondo una ricerca della società londinese Prohibition Partners aggiornata al primo trimestre 2019, per la parte agricola il giro d’affari è di circa 40 milioni, sul valore finale del mercato italiano, considerando tutti i possibili usi e l’indotto, le stime oscillano tra i 7,3 e i 30 miliardi potenziali nel giro dei prossimi dieci anni, equamente divisi come provenienza tra settore medico-farmaceutico e uso ricreativo.
«Lo dico da imprenditore: è un settore molto ricco in cui bisognerebbe investire. Per questo ci vorrebbe più coraggio con nuove leggi meno stringenti. La cannabis è una pianta officinale ed una concreta opportunità per il paese, soprattutto per il sud Italia, dove il clima per la coltivazione consente una qualità altissima e dove si potrebbe creare una vera e propria economia della canapa dove il nostro Paese potrebbe davvero diventare un punto di riferimento per l’Europa esportando know-how ad altri paesi. Penso alla Francia che sta sviluppando il business».
Pierluigi ci crede, tanto da essere il portavoce del CSI – Canapa Sativa Italia, una delle associazioni che raggruppa produttori italiani di canapa industriale, insieme a Federcanapa, riconosciute dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e che ha voluto istituire un tavolo tecnico permanente della canapa (come avviene per gli altri settori agricoli).
Nell’immediato futuro di Fioridoro l’intenzione è quella di produrre piantine di altissima qualità a costi contenuti grazie al miglioramento genetico delle piante per aumentare la produttività e qualità della cannabis. «Abbiamo stretto un accordo con l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche per sviluppare nuove varietà che saranno poi registrate nel catalogo Europeo e in grado di avere performance migliori in termini di cannabinoidi e produzione di biomassa» conclude Santoro.
da Redazione | 12 Agosto, 2020 | Senza categoria
Meglio Legale, Ass. Luca Coscioni, Dolce Vita e Radicali hanno lanciato #iocoltivo, campagna di disobbedienza civile per la legalizzazione della cannabis. Matteo Gracis, esperto di canapa e autore di Una storia incredibile, la racconta e afferma: «Continueremo a batterci e alzeremo l’asticella»
Da qualche mese la campagna #iocoltivo, indetta da Meglio Legale e della quale ti sei fatto promotore, ha riportato il tema della legalizzazione della cannabis nell’agenda politica. Quali sono i suoi obiettivi?
La campagna #iocoltivo è stata indetta da quattro realtà, Meglio Legale, Ass. Luca Coscioni, Dolce Vita e Radicali, a cui poi si sono aggiunte decine di altre associazioni, parlamentari e cittadini. L’obiettivo principale è proprio quello di aprire un dibattito serio e costruttivo a livello politico e istituzionale, spero sia la volta buona. Siamo molto soddisfatti dei numeri e della partecipazione ma allo stesso tempo allibiti per la totale indifferenza del governo. Continueremo a batterci e man mano ad alzare l’asticella della disobbedienza civile.
Durante il lockdown il mercato del Cbd ha vissuto una sorta di boom. Un segnale importante da parte della società italiana, con i consumatori che crescono sempre di più. Nella tua lunga esperienza da divulgatore hai visto qualche cambiamento significativo nel modo in cui gli italiani si rapportano con la cannabis?
Quindici anni fa quando ho iniziato a lavorare in questo ambito, l’argomento cannabis in Italia era ancora un tabù, gli eventi di settore erano visti come ritrovi massonici e quelli come me considerati eretici. Nel corso del tempo il rapporto degli italiani con la cannabis è cambiato molto: basti pensare che nell’ultimo anno, giusto per fare un esempio, ho fatto un tour di 65 date di presentazioni del mio libro sulla canapa, in tutte le regioni italiane. Ovunque era pieno di gente.
Anche se più parti sollevano richieste al governo per fare passi avanti concreti, dall’altro ci sono le solite polemiche e la solita opposizione arroccata su posizioni e pregiudizi che rischiano di far infangare il dibattito ancor prima che parta. Pensi che il problema sia nei pregiudizi e nella disinformazione?
L’ignoranza è il nemico numero uno della legalizzazione della cannabis in Italia, ne sono convinto da tempo e lo ripeto ogni volta possibile. Molto più potente e influente di mafia e Vaticano messi insieme. Ed è per questo che con il mio lavoro e le mie azioni cerco di scalfirla, attraverso la cultura e l’informazione, o meglio, la contro-informazione.
Questa pianta è una risorsa, non un nemico, e nessun essere umano sano di mente, una volta che impara a conoscerla, può pensare altrimenti e continuare a osteggiarla.
Oltretutto il rischio è quello di continuare a fare il gioco delle mafie e di interessi privati. Il mercato della cannabis è straordinariamente redditizio. Soldi che potrebbero entrare nelle tasche dei cittadini con la legalizzazione. Di che numeri parliamo?
Parliamo di 350mila nuovi posti di lavoro e una cifra che oscilla tra i 6 e gli 8 miliardi di euro l’anno. Queste sono le stime di un’analisi approfondita realizzata dall’Università di Messina. D’altronde basta guardare oltreoceano per vedere, dati alla mano, quali incredibili benefici economici e sociali abbiano ottenuto gli stati che hanno legalizzato la cannabis. Presto, gli stessi risultati li otterranno i primi paesi europei che intraprenderanno quella strada, a partire dal Lussemburgo, che quasi sicuramente sarà il primo. Noi in tutto questo, stiamo a guardare e lasciamo profitti e benefici nelle mani delle organizzazioni criminali, contemporaneamente impegniamo risorse, energie e tempo in un’assurda caccia alle streghe contro consumatori totalmente innocui.
Nel tuo libro Canapa: una storia incredibile ripercorri la storia di questa pianta e dei molteplici utilizzi che l’uomo ne ha fatto nel corso dei secoli. Qual era il rapporto dell’uomo con la canapa e come si è arrivati a demonizzarla?
La canapa ha accompagnato l’umanità attraverso tutta la sua storia. La utilizziamo come medicina dal 2.700 a.C. e successivamente nei secoli a venire come tessuto, cordame, cibo, combustibile, carta e materiale edile. È stata demonizzata in quanto nemica primaria dell’allora nascente industria petrolifera (e dei suoi derivati come la plastica) e di quella farmacologica, attraverso una menzogna a cui è stato dato il nome di “marijuana”. Tra i vari aspetti curiosi e significativi, vorrei segnalare quello delle reti da pesca. In molti non lo sanno, ma fino agli ultimi anni del 1800 venivano fatte con la canapa e quando si finiva di utilizzarle venivano abbandonate sul fondo dei mari, diventando in pochi mesi cibo per i pesci, senza alcun impatto ambientale sui fondali e sull’ecosistema marino, totalmente sostenibile. Era già una forma di economica circolare. Oggi quelle reti le facciamo con il nylon (derivato del petrolio) e con le stesse abbiamo devastato l’eco-sistema marino. Sappiate che tutto (o quasi) quello che oggi facciamo con la plastica, si potrebbe fare (e in parte già si faceva) con la canapa. Vedete voi se questo argomento non è di attualità…
Da anni ti batti come attivista, giornalista e scrittore per una corretta informazione sulla canapa e sulla cannabis. Nel corso degli anni quali sono gli ostacoli più grandi che hai incontrato?
Gli ostacoli più grandi che ho incontrato cercando di sensibilizzare le persone al tema della cannabis sono l’indifferenza e la diffidenza. In molti purtroppo sono ancora convinti che quando si parla di cannabis, si parli automaticamente di spinelli, Woodstock e Bob Marley. Ma la questione va ben oltre. In più i mass media continuano periodicamente a fare terrorismo psicologico e disinformazione sull’argomento, nonostante siano stati sbugiardati innumerevoli volte. Per non parlare di certi politici…
Nel tuo libro parli anche dello straordinario impatto in termini di sostenibilità ambientale che potrebbe avere la canapa. Un argomento estremamente importante di questi tempi. Che contributo potrebbe dare la coltivazione di canapa all’ambiente?
Oltre all’esempio che vi ho citato sulle reti da pesca, oggi la canapa è bio-plastica, bio-edilizia, cosmetica naturale, abbigliamento sano ed eco-sostenibile – ricordo che l’industria dell’abbigliamento è tra le più inquinanti del mondo –, così come carta 100% eco-friendly e cibo dalle incredibili proprietà nutrizionali. Da notare inoltre che la canapa è una pianta che sequestra tantissima Co2 dall’atmosfera e, se non bastasse, che viene utilizzata nella fito-rimediazione in quanto pulisce e rigenera i terreni nei quali viene coltivata, ad esempio sono in corso da tempo progetti sperimentali anche a Chernobyl e nella nostra Terra dei Fuochi in Campania. E quello di cui vi ho parlato rappresenta forse il 10% delle potenzialità che ha questa pianta. Se non vi fidate di me, informatevi e approfondite in maniera autonoma: ve ne innamorerete!
da Redazione | 12 Agosto, 2020 | Italia, Normative
Non c’è ancora grande chiarezza in Italia a proposito della coltivazione della cannabis a casa o comunque in un ambiente domestico. Per questo motivo, i semi che si trovano in commercio nei negozi specializzati e sulle piattaforme online sono al momento venduti esclusivamente come semi da collezione. Essi forniscono una vasta gamma di strain e varie tipologie come ad esempio i semi di cannabis femminizzati o autofiorenti.
Le ragioni di questa confusione sull’argomento sono da ricercare sia in un generale stigma della pianta di cannabis, che si è protratta a lungo a partire dal periodo del proibizionismo degli anni ’30, ma soprattutto a causa del fatto che il legislatore italiano, e se è per questo neanche quello europeo, non si è occupato direttamente della questione. La giurisprudenza ha quindi cercato di colmare questa lacuna normativa, ma gli orientamenti della Corte di Cassazione che si sono susseguiti nel tempo sono stati altalenanti e quindi dubbi rimangono sulla possibilità o meno della coltivazione domestica di piante di cannabis.
– I motivi delle incertezze
Andando ad analizzare più nello specifico il primo punto, si sottolinea come la collocazione della marijuana e di tutte le sostanze che la compongono tra le sostanze stupefacenti non aveva permesso di apprezzarne le proprietà. Una volta che questo atteggiamento si è allentato, gli studi hanno mostrato come questa pianta invece potesse avere svariati utilizzi tra cui la bonifica dei terreni, usi terapeutici, la costruzione di biomateriali molto resistenti in ambito edilizio e anche per tessuti; inoltre alcuni semi di canapa e l’olio che se ne può derivare sono utilizzati per uso alimentare, perché si sono dimostrati fonte di numerose proprietà nutritive e benefiche molto importanti.
Di pari passo con queste scoperte scientifiche, sono state emanate delle leggi e direttive su questo tema, che però si sono concentrate prevalentemente sulla coltivazione a uso industriale delle piante di cannabis, per la produzione dei prodotti a base di questa specie vegetale ammessi dagli ordinamenti. In particolare, in Italia sono permesse le colture di marijuana anche senza autorizzazione quando la concentrazione di THC nelle infiorescenze sia minore dello 0,2%. Un regime di tolleranza si ha fino allo 0,6%, per il quale il breeder potrebbe semplicemente essere sottoposto a sanzione amministrativa e non penale.
Come anticipato, niente si dice a proposito della coltivazione domestica. È stata allora la giurisprudenza ad occuparsi della materia: per lungo tempo essa è stata considerata illegale tout court, nel senso che il giudice di Cassazione ha rilevato che, quando l’intento sia la protezione della salute e della sicurezza pubbliche, coltivare marijuana in casa non poteva che essere bandita. Difatti, non vi poteva essere certezza che il breeder non intendesse vendere il raccolto e, quindi, integrare quei reati che vietano lo spaccio. Per evitare questo pericolo, solo il fatto che si avesse in casa un arbusto che corrispondesse a quella specie vegetale comportava delle sanzioni, anche gravi.
Nella sentenza del 4 dicembre del 2019 si legge una cosa molto diversa, con una sentenza in cui i giudici vanno ad elaborare logicamente lo stesso punto di partenza delle precedenti decisioni della Corte (da ultimo del maggio dello stesso anno), cioè la salute pubblica e la sicurezza dei cittadini rispetto alla condotta di coltivazione di cannabis, ma giungendo a un risultato completamente diverso.
Quello che la Cassazione a Sezioni Unite sostanzialmente dice è: se i valori che vogliamo proteggere sono quelli sopra descritti, la condotta di chi fa crescere delle piante di marijuana in casa deve concretamente essere potenzialmente lesiva di questi diritti elevati a inderogabili dalla nostra Costituzione. Per questo nella sentenza si illustrano tutta una serie di criteri che possano far presumere che la coltivazione della pianta sia a mero uso personale, che la Corte considera lecita, salva, ovviamente la prova contraria. In particolare, gli ermellini fanno riferimento al numero esiguo di piante e quindi del prodotto che se ne potrebbe trarre, l’attrezzatura non professionale e simili. A chiusura lascia uno spazio aperto per dimostrare che invece la coltivazione è volta allo spaccio, affermando che tutte queste circostanze sono rilevanti per giudicare positivamente la condotta del breeder che può essere considerata legale, “a meno che da altri indizi non si possa desumere il contrario”.
– Un nuovo mercato?
Dalle recenti aperture sia in materia di uso personale di cannabis che quella giurisprudenziale per la coltivazione della pianta in ambito domestico, si prospetta la possibile apertura di un nuovo mercato. Qualora, infatti, l’orientamento della Corte di Cassazione fosse confermato anche da una legge, che ne regolasse anche le condizioni di liceità, potrebbe essere permessa la vendita di semi non solo ad uso collezionistico, come quelli di SensorySeeds.it, ma anche per la coltivazione per uso personale.
Si tratterebbe di un altro passo verso una legalizzazione almeno parziale, che viene richiesta in quasi tutto il mondo e che, pian piano si sta affermando. Esempi di lotta in questo senso è sicuramente il Canada, che ha combattuto strenuamente per questo diritto con ottimi risultati e, ovviamente, l’Olanda dove questa libertà ha permesso di convogliare i guadagni di un mercato illegale nelle casse dello Stato e degli imprenditori, contribuendo a una maggiore ricchezza complessiva e alla lotta contro pratiche di spaccio illecite. Aspettiamo il verdetto del legislatore italiano.
da Redazione | 11 Agosto, 2020 | Italia, Notizie
L’assessore Lipparini: “Per rispondere alla richiesta di malati e ospedali l’unica soluzione è autorizzare nuovi soggetti pubblici o privati”
di MATTEO PUCCIARELLI
Il Comune di Milano chiederà al ministero della Salute di produrre a livello locale il principio attivo derivante dalla cannabis a scopo terapeutico, e intanto domani alle 18 in piazza San Babila ci sarà anche l’assessore alla Partecipazione Lorenzo Lipparini per la manifestazione “Meglio Legale”, la campagna di iniziativa pubblica per la legalizzazione della cannabis e la decriminalizzazione dell’uso delle altre sostanze.
“La produzione di cannabis a scopo terapeutico in Italia è assolutamente insufficiente” dice Lipparini, lunga e attuale militanza radicale. “Il monopolio sulla produzione è lasciato dal governo allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, unico ad avere l’autorizzazione per produrre farmaci derivanti dalla cannabis. Per rispondere alla richiesta di malati e ospedali, l’unica soluzione è autorizzare nuovi soggetti pubblici o privati. Noi come Comune abbiamo approvato una mozione che chiede di attivarci per trovare partner e approfondire la possibilità di produrre a livello locale il principio attivo”. Almeno sulla carta il dicastero retto da Roberto Speranza (Leu) potrebbe dare ampi spiragli alla proposta.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato più volte come i farmaci contenenti Thc abbiano grandi potenzialità terapeutiche nella cura di varie patologie e nell’alleviamento dei sintomi. In Italia la cannabis può essere prescritta dai medici (compresi i medici di base) già dal 2007 per la cura di malattie come il glaucoma, la Sla, la sclerosi multipla, l’epilessia e non solo. Ma il farmaco è difficile da reperire per via della scarsa formazione del personale sanitario, del complicato iter burocratico legato all’approvvigionamento e del fatto che la produzione nazionale è come detto limitata al solo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Secondo il report Estimated World Requirements of Narcotic Drugs 2020 dell’International Narcotics Control Board, l’Italia ha un fabbisogno di 1950 chili all’anno di cannabis medica. A fronte di tale domanda, sulla base di quanto pubblicato sul sito del Ministero della Salute, il centro di Firenze ne ha distribuiti soltanto 146.
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