Cannabis terapeutica: dieci cose da sapere

Cannabis terapeutica: dieci cose da sapere

In Italia la cannabis terapeutica viene prescritta per curare e gestire i sintomi di molte patologie, tra cui il dolore nella sclerosi multipla o nelle lesioni del midollo spinale, il dolore cronico di origine neuropatica o oncologica, per il glaucoma e per la sindrome di Tourette. E ancora: per nausea causata da chemioterapia, radioterapia, terapie per l’Hiv, anoressia. Eppure, sebbene siano passati dieci anni dalla sua introduzione, ci sono ancora molte difficoltà per l’accesso al farmaco, dalla prescrizione da parte del medico alla possibilità di reperirla in farmacia. Se ne è parlato al 39esimo Congresso nazionale della Società italiana di farmacologia (Sif), tenuto nei giorni scorsi a Firenze, durante il quale è emerso come permanga ancora oggi una alta variabilità tra le farmacie, anche della stessa Regione, nella preparazione galenica del prodotto finale. Sebbene infatti esistano linee guida ministeriali, infatti, quello che ancora manca è uno standard di produzione per cui il rapporto tra i due componenti principali, ossia il Thc e il Cbd, sia sempre lo stesso. Ma chi può prescrivere la cannabis terapeutica e dove può essere reperita? E ancora: come si assume? Per fare un po’ più di chiarezza su queste e altre domande, ecco un vademecum con tutte le informazioni da sapere, stilato con l’aiuto di Alfredo Vannacci, professore associato di Farmacologia e Tossicologia dell’Università di Firenze e membro della Società italiana di farmacologia.

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1. Per il trattamento di quali patologie è stata autorizzata?
“I derivati della cannabis non sono allo stato attuale una vera e propria terapia farmacologica, non hanno uno specifico bersaglio molecolare e non curano una malattia, nel senso in cui generalmente si intende l’azione di un farmaco convenzionale”, racconta Vannacci. “Sono invece a tutti gli effetti prodotti fitoterapici ad azione sintomatica potenzialmente utili in diversi quadri patologici”. In particolare, prosegue l’esperto, il loro utilizzo è autorizzato per il trattamento del dolore cronico (oncologico, neuropatico o associato a spasmi muscolari in patologie neurologiche), per il controllo di nausea e vomito da chemioterapici, per la cachessia e l’anoressia causate da tumori o HIV, per il controllo dei movimenti muscolari involontari in alcune patologie neurologiche e per la riduzione della pressione endooculare nel glaucoma. “In tutti questi casi – avverte l’esperto – non deve essere utilizzata come prima scelta, ma solo in caso di fallimento (o eccessivi effetti avversi) della terapia farmacologica standard”.

2. Da dove proviene?
I derivati della cannabis disponibili in Italia provengono sia dall’estero che da una produzione nel nostro Paese. “La materia prima di provenienza estera è stata la prima ad essere disponibile in Italia, e si tratta attualmente di prodotti provenienti soprattutto dall’Olanda, con proporzioni diverse di principi attivi”, spiega Vannacci. “Più recentemente è stata introdotta la materia prima italiana, realizzata ad opera dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e nota con la sigla FM2”.

3. Chi la può prescrivere e dove si recepisce?
Le preparazioni a base di cannabis possono essere prescritte da qualsiasi medico abilitato, mediante prescrizione magistrale non ripetibile (Rnr). Tuttavia, se vengono prescritte a carico del Ssn, a seconda della Regione in cui si è residenti, è possibile che solamente alcuni medici o alcune strutture siano abilitati a prescriverla. “C’è da dire che nella nostra esperienza il loro utilizzo avviene soprattutto in ambiente ospedaliero da parte di reumatologi e terapisti del dolore, specialmente anestesisti e rianimatori”, spiega Vannacci. “Una volta ricevuta la prescrizione, la preparazione magistrale può essere fatta preparare in qualsiasi farmacia dotata di un laboratorio di galenica”.

4. Come si prepara e come si ottiene dal farmacista?
Le farmacie, prosegue l’esperto, non possono distribuire la cannabis direttamente nei flaconi originali ottenuti dai produttori. Il farmacista, quindi, può dispensare la cannabis al paziente solo dopo averla ripartita nelle dosi indicate in ricetta. “Non è possibile dare più cannabis di quella prescritta dal medico e non è possibile ripartire la cannabis in dosi diverse da quelle indicate in ricetta”, sottolinea Vannacci.

5. Come si assume?
“Le preparazioni possibili sono molte, ma allo stato attuale quelle principalmente utilizzate sono le cartine per decozione in tisana e le cartine per vaporizzazione mediante vaporizzatori”, spiega l’esperto. Di recente, alcuni medici preferiscono prescrivere l’estratto di cannabis in olio di oliva, in modo che possa essere assunto in gocce, ma, riferisce Vannacci, la sua azione è al momento discussa.

6. Quali sono i livelli di Thc e Cbd raccomandati?
I rapporti tra Thc e Cbd cambiano a seconda della materia prima di partenza: esistono prodotti con rapporto Thc : Cbd 1:1, altri con rapporto 20:1 a favore del Thc e altri con rapporto 1:9 a favore del Cbd. “Ovviamente gli effetti terapeutici sono differenti”, continua l’esperto, “ma la attuale ricerca sulle prove di efficacia non è ancora in grado di stabilire se esista effettivamente un rapporto ideale per le diverse indicazioni”.

7. Quali sono i suoi principali effetti?
L’effetto principale è quello analgesico, unito a un effetto miorilassante. Inoltre, sembra essere piuttosto rilevante anche l’effetto ansiolitico, che sarebbe soprattutto a carico della componente Cbd. “Oggi non esistono piani terapeutici basati sulle prove di efficacia per le varie patologie, anche se appare plausibile che indicazioni diverse possano giovarsi di preparazioni con una proporzione differente dei principi attivi”, spiega Vannacci. In linea generale, suggerisce l’esperto, indicazioni quali anoressia e nausea/vomito necessitano di dosi più basse (soprattutto di Thc), dosi maggiori per gli spasmi muscolari e dosi ancora più alte, ma variabili da persona a persona, per la terapia del dolore. “Non è poi da sottovalutare il fatto che le concentrazioni di principi attivi sono molto variabili e risentono anche della preparazione, del tempo di infusione, della temperatura e delle modalità di assunzione”, spiega Vannacci.

8. Ci sono limiti di età?
Per l’assunzione della cannabis terapeutica non ci sono limiti di età definiti. “Ma ovviamente l’utilizzo nei pazienti pediatrici e negli adolescenti deve essere condotto con estrema cautela”, spiega Vannacci. Come ricorda l’esperto, inoltre, di recente un farmaco a base di Cbd è stato approvato proprio per l’utilizzo in alcune forme di epilessia infantile e dovrebbe a breve essere disponibile anche in Italia. “I derivati della cannabis – avverte Vannucci – non dovrebbero essere usati in gravidanza e allattamento, dal momento che ci sono dimostrazioni del passaggio dei principi attivi attraverso la placenta e nel latte materno”.

9. Quali sono gli effetti collaterali?
Una dose eccessiva di Cannabis può causare uno stato depressivo o ansioso e può provocare attacchi di panico o psicosi. “Nella nostra esperienza gli effetti avversi non sono molto frequenti e sono generalmente lievi, tuttavia possono manifestarsi disturbi soprattutto a carico del sistema nervoso (disturbi dell’umore, stordimento, stato soporoso), allergie o reazioni gastrointestinali”, spiega Vannacci.

10. Può dare dipendenza?
“Come è noto, la cannabis stimola il sistema cerebrale di gratificazione, per cui il rischio che possa indurre un abuso è sempre presente”, spiega Vannacci. Tuttavia, se viene utilizzata con le modalità e le dosi previste, in genere non si verificano problemi. “Sicuramente – conclude l’esperto – i preparati a base di Cannabis sono controindicati in pazienti con disturbi psichiatrici e in individui con una storia pregressa di tossicodipendenza e/o abuso di sostanze psicotrope e/o alcol”.

Fonte: repubblica.it

Bellezza alla cannabis: boom in italia

Bellezza alla cannabis: boom in italia

L’impiego della canapa o meglio del cannabidiolo nel beauty è in piena espansione in tutto il mondo, dall’America all’Europa, Italia compresa. Al Canapa Expo 2019, la fiera internazionale dedicata al mondo canapa dal 22 al 24 novembre al Parco Esposizioni di Novegro a Milano, tra le centinaia di espositori e professionisti da tutta Europa molto è dedicato al settore cosmetica. Se alimenti e tessile sono già ampiamente conosciuti dal consumatore italiano, arrivano ora anche tantissimi prodotti biologici dedicati alla bellezza e alla cura del corpo. Innanzitutto le creme con cannabidiolo, un metabolita della cannabis sativa che procura effetti rilassanti, antiossidanti e antinfiammatori. Tra le varie proposte anche latte detergente, crema mani, lozioni per il corpo e saponi di vario tipo. Per contrastare le rughe c’è la crema di canapa al collagene, sempre con la presenza di cannabidiolo e olii di piante pregiate come albicocca, ginseng e camomilla. Il gel di canapa e aloe, invece, è realizzato con olio di semi di canapa ed è utilizzato anche come dopo sole o dopo la rasatura. Non manca l’olio inodore con polvere di semi di cannabis sativa, che usato come lubrificante intimo aiuta ad aumentare la circolazione sanguigna e il rilassamento. L’olio di canapa alla base di molte preparazioni è ricco di clorofilla, contiene elevate quantità di acidi grassi essenziali (Omega-3 e Omega-6). Lenitivo riequilibrante, è inoltre un olio ricco di vitamina E, che combatte i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento precoce e delle vitamine del gruppo B (in particolare B1, B2, B6).
L’offerta spazia anche allo scrub viso con olio di canapa bio, zucchero zaffiro naturale e pure essenze di arancio e lavanda, non mancano anche i sieri per capelli con olio di oliva, fitosteroli di crambe abyssinica ed estratti di sativa bio, per poi passare al sapone intimo decongestionante grazie alla presenza di CBD.
È stato dimostrato che questa molecola ha diverse proprietà terapeutiche, tra cui la capacità di rilassare il corpo. Sebbene agisca sul nostro organismo offrendo importanti benefici, il CBD non ha proprietà psicoattive come il suo parente stretto, il THC. Non bisogna quindi confondere l’azione di questi due cannabinoidi. La lavorazione 100% bio di questi prodotti garantisce una maggiore delicatezza sulla pelle dovuta proprio alla mancanza di derivati dal petrolio o altri componenti chimici come il tensioattivo sodium laureth sulfate, siliconi o altri potenziali allergeni.
Ci sono anche shampoo che detergono, idratano e nutrono senza ungere o appesantire, doccia schiuma indicati per pelli sensibili e per chi soffre d’irritazioni e arrossamenti, senza dimenticare profumi e deodoranti dai sentori più delicati ed esotici. L’ingrediente ben si sposa con la tendenza naturale e vegetale anche il packaging ne è conseguenza: molto spesso i contenitori hanno circa il 70% in meno di plastica rispetto alla maggior parte dei flaconi normalmente reperibili sul mercato. Nel rispetto della natura in molti casi è abolito anche il packaging secondario come astucci o scatolette.
Nel programma della fiera è previsto anche un workshop su canapa e cosmetica a cura di Farmacosmetica e del farmacista Dott. Marco Ternelli.

Fonte: ansa.it

Report FDA: ko della cannabis in borsa

Report FDA: ko della cannabis in borsa

Una delle industrie in più rapida crescita al mondo, quella della cannabis, subisce un altro duro colpo. Nel mirino il CBD, un cannabinoide, una sostanza chimica non psicoattiva derivata dalla canapa, declassificata come marijuana ai sensi della Farm Bill del 2018 e usata per scopi terapeutici e non solo. Tanti oggi i prodotti che contengono CBD, comprese tinture e lozioni, un mercato in crescita tanto che secondo la società di ricerche di mercato The Brightfield Group, l’industria della cannabis legale dovrebbe passare dai 5 miliardi di dollari nel 2019 a quasi 28 miliardi di dollari entro il 2023.

Il report della FDA che fa tremare l’industria della cannabis

Molte le aziende che stanno facendo la fortuna con questa sostanza subiscono un brutto colpo con ribassi consistenti ieri in Borsa. Questo perchè la Food and Drug Administration americana (FDA) ha pubblicato un aggiornamento per i consumatori che cita i potenziali rischi dell’uso di prodotti a base di CBD. Un report che inevitabilmente ha provocato un calo dei principali titoli legati alla marijuana. Nel dettaglio la FDA ha avvertito i consumatori che l’uso del CBD potrebbe causare danni al fegato e ha inviato lettere di avvertimento a 15 aziende per aver venduto illegalmente i prodotti CBD. “I consumatori dovrebbero essere consapevoli che la FDA ha ancora domande senza risposta circa la sicurezza e la qualità dei prodotti CBD”. “Siamo preoccupati che alcune persone pensino erroneamente che la miriade di prodotti CBD sul mercato, molti dei quali sono illegali, sono stati valutati dalla stessa FDA e la cui sicurezza sia stata testata, o che possano pensare che il CBD non può far male” così il vice commissario principale della FDA Amy Abernethy. “Ci sono ancora una serie di questioni riguardanti la sicurezza del CBD – comprese le segnalazioni di prodotti contenenti sostanze contaminanti, come pesticidi e metalli pesanti – e ci sono rischi reali che devono essere presi in considerazione” ha continuato Aernethy.
Secondo la Food and Drug Administration ci sono pochi dati riguardanti la sicurezza del CBD e questi dati indicano rischi reali che devono essere presi in considerazione prima di prendere CBD per qualsiasi motivo. L’agenzia parla in particolare di lesioni epatiche, interazioni farmacologiche e anche effetti negativi sulla salute riproduttiva maschile.

Tra le aziende che hanno ricevuto gli avvertimenti della FDA se ne citano alcune come Koi CBD LLC, Pink Collections Inc., Noli Oil, Infinite Product Company LLLP, Bella Rose Labs, Healthy Hemp Strategies LLC, Sabai Ventures Ltd., Daddy Burt LLC. Seppure non citate dalla FDA, l’avvertimento non ha fatto bene ai titoli di tre delle più grandi compagnie legate alla cannabis– Canopy Growth Corp, Aurora Cannabis e Tilray- che hanno registrato un calo di quasi il 3% oggi in borsa, mentre tre aziende focalizzate solo sul CBD – Web, Medical Marijuana, Inc. e CV Sciences di Charlotte – hanno registrato un calo dell’8%. Un portavoce della Tilray ha sostenuto che l’azienda accoglie con favore un maggior numero di indicazioni da parte della FDA e si attiene alle sue indicazioni. Da Medical Marijuana fanno intendere invece che non esistono prove che la “forma naturale” del CBD causi “effetti tossici sul fegato”, mentre un portavoce di CV Sciences ha espresso delusione per l’avvertimento della FDAche ha “un tono allarmistico inappropriato”.
Certo è che l’avvertimento è l’ultimo colpo ad un settore già in affanno come ha mostrato poco tempo fa la canadese Aurora Cannabis Inc. che ha registrato un calo del suo fatturato del 24%, pari a 75,3 milioni di dollari (56,8 milioni di dollari) rispetto ai 98,9 del trimestre precedente, rallentando i suoi piani di espansione in Canada e all’estero. A pesare sul calo del fatturato di Aurora gli ordini che sono rallentati considerevolmente in estate e da qui il produttore ha annunciato l’interruzione della costruzione del suo impianto Aurora Nordic 2 in Danimarca e il rinvio di un altro sito, Aurora Sun, in Alberta, Canada.

Fonte: finanzaonline.com

Cannabis: in gravidanza la cannabis espone i bambini a effetti psicotici

Cannabis: in gravidanza la cannabis espone i bambini a effetti psicotici

L’uso durante la gravidanza della cannabis e l’esposizione al suo principale componente psicoattivo – il THC – modifica il sistema dopaminergico della prole e la renda suscettibile ai suoi effetti psicotici durante la preadolescenza.

A rivelarlo è stato un nuovo studio effettuato dai ricercatori dell’Università di Cagliari e guidato da Miriam Melis, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze Ungheresi a Budapest e l’Università del Maryland a Baltimora.

Questo studio, che esce oggi sulla prestigiosa rivista internazionale “Nature Neuroscience“, grazie a un approccio multidisciplinare ha svelato importanti modificazioni delle aree cerebrali responsabili della gratificazione nei giovani ratti, i quali mostrano una maggiore vulnerabilità agli effetti di una sola esposizione al THC a un’età in cui i giovani cominciano a sperimentarla.

Lo studio, iniziato nei laboratori del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Cagliari nel 2014, ha visto successivamente il coinvolgimento dei due centri di ricerca internazionali ed è finanziato dal prestigioso ente americano National Institute on Drug Abuse: mostra come l’uso di una droga considerata “leggera”, se assunta durante la gravidanza modifichi la regione cerebrale importante per le emozioni, il piacere e diverse funzioni cognitive, così come fanno cocaina e l’alcol. Un’evidenza molto importante perché – con la crescente legalizzazione della cannabis e la diffusa percezione di una sua sostanziale innocuità – la cannabis è la droga illegale più usata nel mondo dalle donne incinte, a volte assunta come rimedio per le nausee mattutine o per l’ansia.

Gli autori dello studio sperano quindi che la loro scoperta aiuti il processo di consapevolezza riguardo le conseguenze negative sullo sviluppo del sistema nervoso centrale del bambino.

Nello stesso studio, gli autori sono stati in grado di correggere le modificazioni cerebrali, a livello sia cellulare sia comportamentale, riuscendo a proteggere i piccoli esposti durante la gestazione al THC dai suoi effetti detrimenti con un farmaco che attualmente è approvato dalla agenzia americana del farmaco (la Food and Drug Administration) in diversi studi clinici per il trattamento della schizofrenia, del disturbo bipolare e dei disturbi psichiatrici associati all’uso di cannabis.

Fonte: altramantova.it

Cannabis: gli effetti sul cervello degli adolescenti

Cannabis: gli effetti sul cervello degli adolescenti

Il tetraidrocannabinolo (THC) è il principale costituente psicoattivo della cannabis, quello responsabile degli effetti sul cervello e, in particolare, sulle aree della memoria, del pensiero, della concentrazione, del movimento, della coordinazione, della percezione sensoriale e temporale, nonché del piacere.

A partire dal primo gennaio 2018 in California (Stati Uniti) è diventato legale vendere e consumare cannabis a scopo ricreativo, e non solo medico.
Nonostante il largo uso della cannabis, ancora non si conosce il meccanismo d’azione del THC, né in campo medico-terapeutico né in caso di abuso, così come non sono del tutto chiari i suoi effetti collaterali.

Valentina Vozella è a Irvine, California, per studiare il ruolo del THC sul sistema cognitivo degli adolescenti che iniziano a fumare marijuana attorno ai 12-13 anni e per indagare gli effetti a lungo termine di tale assunzione.

Come agisce il THC nel nostro cervello?

Agisce in modo molto simile ai cannabinoidi prodotti naturalmente dal nostro corpo. Il nostro organismo, infatti, ha una sorta di cannabis endogena rappresentata dagli endocannabinoidi: si tratta di neurotrasmettitori di natura lipidica che si legano a recettori presenti in alcune aree del cervello (quelle associate alla cognizione, memoria, appetito, piacere, alla coordinazione e percezione del tempo) e, così facendo, provocano tutta una serie di effetti.
Il THC si lega agli stessi recettori degli endocannabinoidi e, attivandoli, influenza le stesse zone del sistema nervoso. Tuttavia, non ci sono studi condotti in maniera scientifica sui meccanismi d’azione o sulle funzioni svolte dal THC, nemmeno nei casi in cui viene usato per trattare lo stress post-traumatico o come terapia del dolore.

Il mio lavoro è focalizzato all’adolescenza perché è la fase in cui il nostro cervello inizia a svilupparsi e costruire connessioni e, a fronte delle nuove leggi, è importante capire gli effetti, anche collaterali, del THC sul nostro corpo a distanza di anni.

Come valutate questi effetti?

Abbiamo eseguito una serie di test comportamentali su modelli animali in età adulta, dopo aver somministrato per iniezione il THC durante la loro fase di adolescenza. Si tratta di un trattamento cronico, fatto per due settimane, e con la sola molecola attiva, in modo da escludere tutti gli effetti delle centinaia di componenti chimiche presenti nella cannabis. Attraverso i test volevamo valutare lo sviluppo e il grado di eventuali deficit o compromissioni cognitive in seguito all’assunzione di THC. Per fare ciò, il primo giorno abbiamo presentato ai topi determinati oggetti in un certo spazio e successivamente, il secondo giorno, alcuni di questi oggetti sono stati spostati. Se l’animale inizia a esplorare con curiosità gli oggetti spostati lasciando perdere quelli immutati, allora vuol dire che sta bene e si ricorda che in certe posizioni non c’era nulla. Se invece esplora alla stessa maniera sia gli oggetti spostati che quelli immutati, allora c’è qualcosa che non va perché, evidentemente, entrambi rappresentano un elemento di novità e non c’è stata costruzione di memoria.

Abbiamo visto che con alte dosi di THC somministrate cronicamente i topi non distinguono gli elementi nuovi da quelli vecchi e ciò vuol dire che c’è una significativa compromissione del sistema cognitivo in età adulta.

Ci sono altri organi coinvolti, oltre al cervello?

Abbiamo cercato sviluppare un metodo per misurare il contenuto THC in un certo tessuto proprio per vedere dove si distribuisce, dove esercita la sua funzione e, ovviamente, qual è la sua funzione in quel distretto. Che raggiunga il cervello è sicuro, visti gli effetti cognitivi, ma probabilmente non è l’unico bersaglio.

Oltre al cervello abbiamo studiato il tessuto adiposo, dato che i cannabinoidi sono molecole lipidiche, e il sangue, che è il tessuto più semplice e quello più facile da testare anche nell’uomo. Nell’uomo, infatti, non è possibile sapere quali sono i livelli di THC che raggiungono il cervello ma si potrebbe fare una stima sulla base di quelli misurati nel sangue. E da qui capire quali sono gli effetti dose-dipendenti sia a livello acuto sia a lungo termine.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?

Il prossimo passo è indagare la relazione tra THC e comportamento alimentare, dato che dopo aver fumato marijuana si ha un aumento della fame ed è noto che il sistema endocannabinoide è coinvolto nella regolazione dell’appetito. Diversi anni fa era stato introdotto sul mercato un farmaco, chiamato rimonabant, che agiva inibendo i recettori degli endocannabinoidi e veniva indicato per i trattamenti contro l’obesità. Purtroppo il rimonabant aveva gravi effetti collaterali per cui è stato ritirato dal mercato, ma il meccanismo d’azione è interessante e l’attenzione per l’uso della cannabis in casi di disfunzioni alimentari è alto.

Questo lavoro verrà portato avanti dai miei colleghi della University of California, mentre io da pochissimo ho iniziato a lavorare presso l’azienda Allergan dove mi occupo sempre di sistema nervoso ma a livello più applicativo. In pratica, a partire da una serie di molecole conosciute, vogliamo cercare di capire se possono essere usate per trattare specifiche condizioni o patologie, nello specifico io mi occupo di depressione.

Fonte: oggiscienza.it