J-Ax parla della legalizzazione della cannabis: la criminalità fa pressioni sulla politica

J-Ax parla della legalizzazione della cannabis: la criminalità fa pressioni sulla politica

J-Ax e il suo ritorno da solista con “ReAle” mescola pop e rap. Nell’intervista a Fanpage.it, non ha parlato soltanto del suo disco, che parla di armi e femminicidio, ma ha anche detto la sua sulla legalizzazione delle droghe leggere. Nonostante l’apertura, grazie a una sentenza della Cassazione sulla coltivazione della cannabis in casa, per il rapper la strada è ancora lunga e difficile. Tra le principali resistenze, quelle della criminalità organizzata che secondo il rapper sarebbe la prima che avrebbe “da perderci molto, nel caso di una legalizzazione”.

Le parole di J-Ax sulla cannabis
J-Ax spiega il suo punto di vista sulla legalizzazione della cannabis. Come è noto, il rapper è anche sponsor di un marchio di cannabis legale: “Il core business di questi negozi sono le signore oltre i 40 anni che magari non riescono a dormire”.

Tanto di cappello alla Cassazione, però voglio dire che comunque l’Italia, pure quando al Governo c’erano persone favorevoli, non voglio dire legalizzare, ma a fare dei passi avanti verso la normalizzazione della cannabis, si sono sempre scontrate con delle forze molto potenti e importanti che bloccano tutto. Più che un problema di volontà pubblica, credo che da noi ci sia una grossa influenza malavitosa nei confronti del potere. Chi ha da molto da perderci molto, nel caso di una legalizzazione, di un cambiamento di rotta per quanto riguarda le politiche sulla cannabis, sarebbe proprio la criminalità organizzata. Per questo motivo penso che il motivo per cui tutti gli emendamenti vengono bloccati all’ultimo momento sia per colpa delle pressioni che fanno questi grandi gruppi criminali.

J-Ax e la marijuana legale
J-Ax è sponsor di una marjiuana legale, la “Maria Salvador” come la sua canzone. A Fanpage.it spiega: “Sono sponsor di una Maria legale e quindi conosco un po’ l’ambiente dei rivenditori e vedo, sento, i media che dicono che sono i ragazzini ad andare in questi negozi, ma il core business di questi negozi sono le signore oltre i 40 anni che magari non riescono a dormire, si prendono gocce di CBD o l’erba legale, quello è il grosso del mercato, almeno di quelli che conosco io. Invece il ragazzino, purtroppo, continua a comprarsela in piazza perché è illegale e quindi ancora trasgressivo”.

Fonte: music.fanpage.it

Albania: gaffe del TG3

Albania: gaffe del TG3

Il primo ministro Edi Rama ha commentato oggi la notizia data dal Tg3, nella quale si afferma che la coltivazione di cannabis in Albania è aumentata di 12 volte, classificandola come una vergogna giornalistica e senza alcun legame con la realtà certificata dalla Guardia di Finanza.

“Le notizie di ieri sera su RAI 3 sulla presunta crescita di 12 volte delle coltivazioni di cannabis in Albania sono una vergogna giornalistica, senza alcun legame con la realtà monitorata e certificata dalla Guardia di Finanza stessa. Ci auguriamo che i nostri splendidi partner dicano la verità senza perdere tempo”

Il reportage di Rai3

Ieri nella rubrica “Frontiere d’Europa” del Tg3 si è parlato del fenomeno della coltivazione della cannabis in Albania che secondo rapporti riservati è aumentata del 1200% o 12 volte rispetto al 2018, con oltre 100.000 piante scoperte.

“La produzione di cannabis è tornato in grande stile in Albania. Dall’anno scorso c’è stata una crescita esponenziale di oltre 1200%. Lo mostrano le foto aeree inserite in un rapporto riservato della polizia che Tg3 ha potuto leggere. Trovate circa 100000 piante suddivise in piccole coltivazioni, nascoste sulle montagne di piante alte e basse; una qualità importata dal Vietnam modificate geneticamente per avere una altissima percentuale di principio attivo “, tuona il Tg della sera nella rubrica “Frontiere d’Europa”.

Il Tg ha poi trasmesso anche l’intervista del direttore della polizia criminale albanese, rilasciata qualche mese fa, ricordando così la promessa di cancellare per sempre la produzione di marijuana nel paese.

“Attraverso questi grossi traffici di marijuana in cui l’Albania è notoriamente una dei più grandi produttori, si è costituito una notevole provvista, una notevole disponibilità di denaro dalla parte della mafia albanese che gli ha consentito di entrare a pieno titolo sia nei traffici di cocaina che in quelli che sono gli altri affari criminali” aggiunge Giacomo Cataldi, procuratore aggiunto DDA Lecce.

Le reazioni dell’opposizione

L’ex deputato del Partito Democratico Ervin Salianji ha dichiarato in un comunicato stampa che il rapporto di Rai 3 ha mostrato un Albania che continua ad essere la Colombia europea.

“La crescita di oltre 1200% della coltivazione di cannabis è un fallimento di Rama, e mostra che lui stesso è il difensore dei boss del crimine organizzato.

Edi Rama ha fatto molta propaganda al fine di presentare l’Albania come un paese di riforme nel tentativo di raggiungere gli standard europei e unirsi alla famiglia europea, ma la verità viene sempre a galla. La propaganda non può sempre comprare la verità. Il reportage della Rai 3 ha confermato che l’Albania continua ad essere la Colombia d’Europa e il paese è sempre più nelle mani dei narcotrafficanti”

Le dichiarazioni del Ministro dell’Interno

Il ministro degli Interni Sandër Lleshaj descrive il rapporto di Rai 3 sulla cannabis come un giornalismo senza scrupoli. Negando i dati pubblicati nel rapporto, afferma che grazie alla collaborazione con gli italiani, l’Albania è stata liberata dal fenomeno della coltivazione massiva di cannabis.

“Questa non è la prima volta che i media in Italia diventano preda della disinformazione e dell’irresponsabilità di qualche individuo che trasmette notizie false sulla lotta alla coltivazione della cannabis in Albania. Questo tipo di giornalismo sensazionale e senza scrupoli oltraggia lo splendido partenariato con i colleghi italiani.

Grazie a questa collaborazione, l’Albania è stata liberata dal fenomeno della coltivazione massiva di cannabis, segnando annualmente risultati eccellenti contro la criminalità in questo settore. La battaglia continua” scrive il ministro.

Le dichiarazioni della Polizia di Stato

Anche la polizia di stato ha reagito contro la trasmissione televisiva di RAI 3 secondo cui la coltivazione di cannabis in Albania è cresciuta in modo esponenziale. “La polizia di stato respinge i risultati diffusi da Rai 3, affermando che non corrispondono con i dati in possesso della Guardia Di Finanza.”

Con un comunicato la polizia di stato ha affermato che sono state sollevate preoccupazioni sulla veridicità dei risultati presso i partner italiani chiedendo chiarimenti sulle informazioni infondate che creano terreno per attacchi altrettanto infondati, sottolineando che questi ultimi hanno confermato che la notizia non si basa su fonte diretta.

Fonte: albanianews.it

Olio di CBD e Olio di Cannabis: le differenze

Olio di CBD e Olio di Cannabis: le differenze

Esaminando la Cannabis i ricercatori hanno potuto verificare come questa pianta possieda notevoli qualità terapeutiche. Essa infatti contiene un ricco assortimento di molecole, ciascuna delle quali capace di generare specifici effetti sul nostro organismo. In modo particolare, la Cannabis produce delle sostanze conosciute come Cannabinoidi.

Ad oggi è stato possibile individuare più di 100 molecole capaci di offrire potenziali capacità terapeutiche. Particolarmente presente nella canapa è il THC, sostanza psicotropa responsabile del cosiddetto “sballo”. Ma nella Cannabis Sativa si trova anche il CBD, ovvero il cannabidiolo; metabolita dai numerosi effetti benefici per la salute.

Oggi il mercato offre prodotti quali l’Olio CBD che ben poco hanno a che vedere con l’Olio di Cannabis. Attraverso questo articolo avrai modo di scoprire qual’è la differenza tra queste due sostanze e quali sono i benefici (o gli effetti collaterali) che le contraddistinguono.

Effetti Cannabis e CBD. Ecco come riconoscere la differenza

La Cannabis Sativa ancora oggi viene associata principalmente allo “sballo”, determinato dal THC, presente in modo particolare nei germogli giovani della pianta. Tale cannabinoide, legandosi ai recettori CB1 del sistema nervoso centrale, causa notevoli alterazioni psico-fisiche transitorie. Per sfruttare tutti i benefici e gli effetti terapeutici del CBD, senza dover obbligatoriamente sperimentare tali alterazioni, oggi è possibile isolare il cannabinoide.

Solitamente le diverse varietà di Cannabis destinate a scopi terapeutici non contengono una quantità di CBD sufficiente. Per tale ragione viene utilizzata la cosiddetta “Canapa per uso industriale”, una pianta specificatamente selezionata per produrre minime quantità di THC ed elevate dosi di CBD. Le piante di Cannabis Sativa per uso ricreativo permettono invece di estrarre una sostanza ricca non soltanto di CBD ma anche di THC. Il risultato finale sarà l’Olio di Cannabis, (e non l’Olio di CBD).

CBD Oil: di cosa si tratta?

Ciò che differenzia l’Olio CBD dall’Olio di Cannabis è essenzialmente il quantitativo di THC presente. Il CBD Oil viene estratto esclusivamente da Canapa per utilizzo industriale, scrupolosamente selezionata. Per questo motivo le tracce contenute di THC sono decisamente esigue (inferiori allo 0,3%). Proprio perché le molecole THC presenti sono in quantità minime, l’Olio CBD può essere assunto liberamente, senza determinare alcun effetto psicotropo.

I prodotti a base di CBD oggi sono reperibili un po’ dappertutto; dalle erboristerie ai supermercati. Sottoposto costantemente a studi e controlli scientifici, il CBD è legale in tantissimi paesi occidentali, dove viene consigliato grazie alle sue proprietà terapeutiche e ad un’eccellente controllo sicurezza che garantisce l’assenza totale di effetti capaci di alterare le percezioni.

Cannabis Oil: di cosa si tratta?

Differentemente dall’Olio CBD, l’Olio di Cannabis viene estratto da piante di canapa in cui la componente di THC è particolarmente elevata. Per poterlo realizzare vengono utilizzate varietà di Cannabis capaci di alterare le percezioni. L’Olio della Cannabis racchiude anch’esso elevate dosi di CBD. Tuttavia, se presenti percentuali di THC superiori al limite stabilito dalla legge (0,3%), o se semplicemente ricavato da una varietà di Canapa per uso ricreativo, esso non potrà essere classificato come Olio CBD. Illegale in diversi Paesi, a causa dell’alta presenza di THC, l’Olio di Cannabis non può essere prodotto e posseduto, poiché vietato.

CBD Oil a cosa serve?

Nonostante le normative sempre piuttosto rigide, la scienza ha messo in atto diversi studi sugli effetti benefici dell’Olio CBD, scoprendo numerose virtù del tutto inaspettate. Le ricerche più recenti hanno infatti evidenziato che il CBD è in grado di offrire proprietà antinfiammatorie e antiossidanti nonché neuroprotettive e antiepilettiche. I ricercatori ritengono che questo cannabinoide riesca a produrre tali effetti attraverso precisi meccanismi d’azione.

Il Cannabidiolo (CBD) interagisce con il cosiddetto sistema endocannabinoide, capace di regolare numerose funzioni, quali l’umore, l’appetito, il metabolismo e la risposta immunitaria.

Diversi sono i consumatori di CBD Oil che desiderano alleviare sintomi infiammatori tipici di patologie quali il morbo di Crohn e altre problematiche intestinali. Le ultime ricerche hanno infatti dimostrato che il CBD presenta potenzialità capaci di trattare le malattie infiammatorie dell’intestino.

Gli sportivi e gli atleti professionisti spesso scelgono di assumere CBD per calmare e ridurre l’infiammazione e il dolore muscolare tipicamente riscontrabile a seguito di allenamenti intensivi.

Anche disturbi come ansia e sbalzi d’umore possono essere alleviati utilizzando l’Olio CBD. Questo prezioso cannabinoide vanta potenziali qualità terapeutiche perché capace di agire direttamente sul nostro sistema nervoso centrale. Alcuni studi sembrerebbero provare che il CBD risulterebbe efficace anche nel caso di stress post-traumaticodepressione o problemi di tipo ossessivo-compulsivo. Essendo completamente privo di effetti psicotropi, quest’Olio di Canapa legale, così raffinato, è indicato per un’assunzione priva di ripercussioni sulla lucidità mentale.

Gli Oli CBD di qualità contengono una formulazione completa che include anche altre molecole della Canapa, particolarmente benefiche, come per esempio i terpeni. Questi hanno il compito di svolgere un’azione amplificante dell’effetto terapeutico di quest’olio 100% naturale.

CBD effetti collaterali

Generalmente ben tollerato, l’Olio di Canapa, assolutamente privo di quegli effetti psicotropi tipici della cannabis, presenta rare controindicazioni quali; abbassamento della pressione, secchezza delle fauci, disturbi intestinali transitori e spossatezza temporanea. Utilizzando la giusta dose, tali effetti collaterali tendono a sparire del tutto nella maggior parte dei casi.

Fonte: ilmamilio.it

Cannabis light, norme non sono chiare: chi la vende non sa di commettere un reato

Cannabis light, norme non sono chiare: chi la vende non sa di commettere un reato

Vendere prodotti derivati dalla canapa light è illegale, ma a causa della giungla normativa italiana chi lo ha fatto non è punibile. È quanto, in estrema sintesi, ha affermato al procura di Taranto che ha chiesto e ottenuto l’archiviazione per le 56 persone coinvolte nell’inchiesta “Affari in fumo”, condotta dalla Guardia di finanza, che aveva portato al sequestro nel 2018 di oltre 1 tonnellata di “infiorescenze di canapa sativa” e migliaia di prodotti venduti nella provincia di Taranto, ma anche in altre regioni come Campania, Calabria, Sicilia, Lazio e Lombardia.

Sotto chiave erano finiti anche 120 litri di bevande e liquidi contenenti un basso contenuto di Thc, 2.600 prodotti alimentari, tra cui caramelle e lecca-lecca derivanti dalla cosiddetta “canapa sativa”, 4.500 articoli e strumenti utilizzati per il confezionamento e l’ingestione, l’inalazione o la combustione dell’infiorescenza di canapa. Ma non solo. Gli inquirenti avevano sequestrato anche 4mila locandine che pubblicizzavano i prodotti: per i militari agli ordini del tenente colonnello Marco Antonucci, coordinati dal procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo e dall’aggiunto Maurizio Carbone e dal sostituto Lucia Isceri, si trattava di pubblicità alla droga. Una questione sulla quale anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano dato ragione all’accusa sostennedo che la commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione di quella particolare varietà di canapa “non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole” e che “elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati”. Non solo. Secondo i giudici della Cassazione, quindi, erano da considerarsi reati, come violazione del testo unico sugli stupefacenti “la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.

Nonostante questa chiara pronuncia della Cassazione, la procura ionica ha ritenuto che la normativa che introduce e regola la vendita di “canapa light” sia talmente confusa che non consente di essere consapevoli di commettere un reato e in particolare quello di spaccio di sostanze stupefacenti. È la stessa procura a spiegare che il quadro è costellato di “asimmetrie interpretative” che hanno “reso inevitabile l’errore nel quale sono incorsi gli indagati nel momento in cui hanno dovuto fronteggiare una norma che non brillava per chiarezza, tanto da indurre i tribunali a determinazioni non collimanti tra loro e anzi a decisioni di segno opposto”. Insomma sulla questione “canapa light” in Italia regna una gran confusione. Leggi, regolamenti, circolari e pronunce giudiziarie sono spesso in contrasto trasformando il business della canapa in una sorta di attività consentita in alcune zone di Italia e vietata in altre.

Una vicenda sulla quale lo Stato italiano dovrà intervenire in modo chiaro e inequivocabile. In Italia, infatti, la legge 242 del 2016 – che contiene le norme per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa – consente la coltivazione di piante di canapa che abbiano una percentuale di “Thc” (tetraidrocannabinolo, il principio psicoattivo della cannabis) inferiore allo 0,6 percento. In particolare se i controlli, affidati dalla legge al Corpo forestale dello Stato, dimostrano che il contenuto di Thc è compreso tra lo 0,2 e lo 0,6 percento allora l’agricoltore è considerato “esente da responsabilità” perché “ha rispettato le prescrizioni”. Dall’altro lato, però, la linea della magistratura è invece dettata da un altro provvedimento legislativo: il decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990, il cosiddetto “Testo unico sugli stupefacenti” che punisce le condotte di chi “vende, offre o mette in vendita, cede o riceve a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia” le sostanze “stupefacenti o psicotrope” indicate in due tabelle indicate nell’articolo 14 del decreto.

Ed è proprio tra le sostanze contenute in quelle tabelle che è inserito il Thc. Non solo. Per il Thc non è indicato alcun “valore soglia” e anzi il testo enuncia tra le sostanze vietate proprio la cannabis, sotto forma di infiorescenze, olio, resina, o preparazioni che contengano qualunque percentuale di Thc. Ciò che insomma è consentito con un provvedimento è vietato con altro. E chi ha deciso, come a Taranto, di investire in un’impresa legata al business della canapa si è ritrovato non solo l’accusa di essere uno spacciatore, ma anche il blocco di un’attività nella quale aveva speso i propri risparmi. E se da un lato la richiesta della procura salva gli indagati con l’archiviazione, dall’altro conferma l’illegalità di quel commercio: tutti i prodotti sequestrati, infatti, saranno distrutti e le attività commerciali che erano state chiuse dai finanzieri non potranno riprendere a lavorare.

“Il provvedimento di archiviazione – ha commentato l’avvocato Claudio Petrone, difensore di diversi indagati – è stato emesso nei confronti di cittadini italiani che avevano provato a fare impresa, applicando una legge dello Stato, pagando le tasse ed operando alla luce del sole. Nessuno di loro aveva l’intenzione di spacciare droga, anche perché l’eventuale effetto drogante è tutto ancora da accertare e le Sezioni Unite hanno chiarito come, in assenza di tale effetto, non si possa ovviamente parlare di droga. La magistratura è dovuta intervenire a garanzia degli imprenditori, laddove, purtroppo, il legislatore ha dimostrato di essere ‘pigro’ e ‘poco deciso’”. L’Italia – ha aggiunto il legale – “non potrà essere un paese totalmente liberale fino a quando chi scrive le leggi non ascolterà cosa pensano i propri cittadini. I numeri elevatissimi che il mercato della cannabis, cosiddetta light, ha sviluppato, ci dicono che gli italiani vogliono che la cannabis a basso contenuto di Thc venga venduta in tutte le sue forme, che siano infiorescenze, oli, o alimenti. L’ipocrisia e la miopia verranno meno, forse, quando della convenienza di questo mercato – conclude l’avvocato Petrone – potrà beneficiarne anche lo stesso Stato”.

“Questa vicenda – hanno commentato Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini, Segretario e Tesoriera di Radicali Italiani – dimostra ancora una volta l’urgenza di legalizzare e regolamentare il settore”. E a pagarne le conseguenze sono i cittadini coinvolti nell’indagine: “Il danno subito da questi cittadini – hanno aggiunto – è gravissimo, a livello di immagine, quanto economico. Sono stati etichettati come ‘spacciatori’, hanno visto apporre i sigilli ai loro esercizi commerciali e il materiale all’interno degli stessi è stato sequestrato. Non possiamo consentire che questa condizione di incertezza si perpetri, esponendo gli attori del settore al rischio di perdite e danni a causa di un accanimento proibizionista e irrazionale. A pagare il prezzo di questa opposizione a ogni forma di regolamentazione della commercializzazione della cannabis nel nostro paese sono consumatori e imprenditori, mentre il grande narcotraffico – hanno concluso Iervolino e Crivellini – non risulta affatto scalfito”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Guida sotto effetto della cannabis, fra tossicologia e giurisprudenza

Guida sotto effetto della cannabis, fra tossicologia e giurisprudenza

Uno degli argomenti sostenuti da chi si oppone alla legalizzazione dell’uso ricreativo della cannabis è un asserito e potenziale aumento dei pericoli stradali.
Alcuni tossicologi si sono posti il problema di verificare le conseguenze dell’uso della cannabis sulla guida e la durata degli effetti deleteri nel tempo con risultati tranquillizzanti.
Il tema riguarda ovviamente anche l’uso della cannabis terapeutica atteso che i consumatori potrebbero essere privati dell’uso della patente dalle commissioni mediche.
Il problema più grave è che, a prescindere dalla distinzione fra l’uso terapeutico e ricreativo della cannabis, se venisse riscontrata una positività alle analisi durante un controllo, al conducente potrebbe essere contestata la contravvenzione di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti che costituisce un reato severamente punito.

Ma è necessaria qualche puntualizzazione.
È notorio che le analisi di campioni biologici, sangue ed urine, possono dare risultati positivi anche nel caso in cui l’effetto della alterazione si sia ormai estinto.
In particolare, per quanto riguarda le urine, le tracce di THC possono residuare per oltre 15 giorni, ma gli effetti comportamentali che possono influire sull’abilità di guida svaniscono in breve tempo, nel giro di poche ore.
Anche le analisi del sangue, seppure più precise, rischiano di non essere univoche.
D’altra parte, la fattispecie di guida sotto l’influenza di stupefacenti non prevede nessuna soglia “di positività” oltre la quale è configurabile il reato, a differenza del reato di guida in stato di ebbrezza.

Ecco dunque che alcuni principi di tossicologia sono stati recepiti dalla giurisprudenza italiana.
Già nel 2004 la Corte Costituzionale aveva chiarito (con l’ordinanza n. 277) che la fattispecie di guida in stato di alterazione (art. 187 c.s.) è costituita dal concorso di due elementi qualificanti: “Da un lato lo stato di alterazione, capace di compromettere le normali condizioni psico-fisiche indispensabili nello svolgimento della guida e concretizzante di per sé una condotta di pericolo per la sicurezza della circolazione stradale; dall’altro, l’assunzione di sostanze (stupefacenti o psicotrope), idonee a causare lo stato di alterazione, per l’accertamento del quale (…) non è sufficiente la mera osservazione o la descrizione di una determinata sintomatologia, ma è necessario il riscontro di idonee analisi di laboratorio”.
In altre parole, il fatto che le analisi siano positive non è un elemento sufficiente per essere condannati, come non è sufficiente un comportamento anomalo (o altri sintomi) non affiancato da analisi tecniche.

Anche la giurisprudenza della Suprema Corte ha recepito questa impostazione in numerose pronunce.
In particolare si è più volte affermato che, per giungere alla affermazione della responsabilità penale, non è sufficiente provare l’assunzione di stupefacenti precedente alla guida, ma è altresì necessario raggiungere la prova di un attuale stato di alterazione determinato da tale assunzione.
D’altra parte, le sostanze stupefacenti, a differenza dell’alcool (che viene velocemente assorbito dall’organismo) lasciano tracce che permangono nel tempo e “l’esame tecnico potrebbe avere un esito positivo in relazione ad un soggetto che ha assunto la sostanza giorni addietro e che, pertanto, non si trova al momento del fatto in stato di alterazione per tale causa” (cfr. Cass. Pen. Sez. IV n. 16949/2015 e Cass. Pen. Sez. IV n. 12409/2019).
Ma allora come può essere provato che lo stato di alterazione sia in corso al momento della guida e che sia causato proprio dalla assunzione degli stupefacenti?
Raggiungere la prova non è semplice, come d’altra parte risulta dalla pacifica giurisprudenza in materia. Normalmente lo stato di alterazione deve essere verificato dalle forze dell’ordine, sulla base del comportamento tenuto dal conducente al momento del controllo, sulla base della condotta di guida o sulla base di altri sintomi evidenti. I comportamenti devono però essere assolutamente anomali e, ad esempio, non può essere ritenuto sufficiente per giustificare una condanna il semplice nervosismo o l’atteggiamento sospetto non meglio definito, né può essere ritenuta dirimente una camminata “barcollante” (cfr. Cass. Pen. Sez. IV, n. 41875/2018)

In conclusione
Sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte il reato di guida in stato di alterazione psico fisica determinato dall’uso di stupefacenti non è riscontrabile automaticamente, sulla base delle semplici analisi positive, ma è necessario che ricorra anche la prova di uno stato di alterazione determinato dall’uso di stupefacenti.
Lo stato della giurisprudenza potrebbe, a nostro avviso, aiutare ad orientare le commissioni mediche allorché si trovino a dover valutare il rilascio della patente di guida ai soggetti che, per necessità, debbano far uso di cannabis terapeutica.
Se è vero che nessuno può guidare in stato di alterazione per innegabili ragioni di sicurezza, è altrettanto vero che chiunque deve avere il diritto di guidare quando gli effetti collaterali dei farmaci assunti tempo prima non sono riscontrabili.

Fonte: droghe.aduc.it