Cannabis: l’esperimento nello stato di Washington

Cannabis: l’esperimento nello stato di Washington

Legalizzare la cannabis nuoce al mercato illegale, che si vede soppiantato da quello legale. È questa la conclusione a cui è giunto uno studio pubblicato sulla rivista Addiction dai ricercatori dell’Università di Puget Sound di Tacoma e dell’Università di Washington (Stati Uniti), secondo cui nello stato di Washington la legalizzazione della cannabis avvenuta nel 2012 ha comportato una diminuzione dell’acquisto della sostanza dal mercato nero. Guidato dal chimico Dan Burgard, direttore del dipartimento di Chimica dell’Università di Puget Sound, il team di ricerca ha analizzato i campioni di acque di scarico di due impianti fognari che servono una comunità di duecentomila persone nello stato di Washington raccolti tra il 2013 e il 2016, ovvero dopo la legalizzazione della cannabis. I dati raccolti dai campioni di acque reflue, scrivono i ricercatori, possono essere molto utili nello studio del consumo di sostanze utilizzate, sia legali che illegali: in alcuni casi addirittura la concentrazione dei metaboliti (i composti prodotti dall’organismo nel corso dei processi metabolici che vengono espulsi tramite l’urina o le feci) rilevati può essere utilizzata per calcolare a posteriori il numero effettivo di dosi di un farmaco utilizzato in una particolare area. Finanziata in parte dal National Institute on Drug Abuse, l’ente di ricerca governativo degli Stati Uniti sul consumo di droghe, la ricerca sull’assunzione di cannabis legale nello Stato di Washington si è basata sulle analisi di 387 campioni di acque reflue raccolti in altrettanti giorni nell’arco di tre anni, dalle quali è emerso che il THC-COOH (il metabolita del THC, il principio psicoattivo della cannabis) presente nelle acque di scarico aumentava del 9% ogni trimestre. I ricercatori spiegano che, se da una parte le persone consumavano più cannabis, dall’altra preferivano acquistarla dai rivenditori legali: durante lo stesso periodo infatti le vendite della canapa legale hanno conosciuto un incremento di vendite del 60-70% ogni tre mesi. «Questi risultati – spiega Burgard – suggeriscono che molti utenti sono passati dal mercato illegale a quello legale».

Secondo i ricercatori i risultati da loro ottenuti suggeriscono che la legalizzazione ha raggiunto uno dei suoi obiettivi principali, ovvero ridurre gli approvvigionamenti dal mercato nero.

Canapa: come questa pianta potrebbe salvarci

Canapa: come questa pianta potrebbe salvarci

Sappiamo però che il nostro modello economico va rivisto, in un’ottica ecologica in senso lato: dobbiamo trovare nuovi modi non solo di alimentarci, ma anche di consumare, di produrre energia, nuovi materiali, nuove risorse possibilmente rinnovabili e che non impoveriscano ulteriormente il pianeta che ci ospita. La sfida è così grande che è servita una bambina per mostrarne l’urgenza. Greta Thunberg, nel suo celebre discorso di Katowice nel 2018, ha detto: “Se le soluzioni sono impossibili da trovare all’interno di questo sistema significa che dobbiamo cambiare il sistema.” E come? Da dove partire per cambiare il sistema? Per esempio, trovando un maiale vegetale, la cui coltivazione sia a basso impatto ambientale, e il cui uso sia non solo alimentare ma persino industriale. La canapa.

Che la canapa sia il maiale vegetale, è un detto popolare altrettanto diffuso, forse da prima ancora di scoprirne gli usi possibili più recenti e impensabili. Anche se il suo nome è indissolubilmente legato alla controversa locuzione “droghe leggere”, va sottolineato che alcune delle varietà botaniche di questa pianta non hanno proprio niente a che vedere con l’uso ricreativo in questione.

Generalizzando molto, possiamo dire che la Canapa Sativa, la varietà più diffusa, può essere suddivisa in due sottospecie differenti: l’una contiene alte concentrazioni di THC, la sostanza psicotropa; l’altra ne è priva, ed è questa la varietà che incontra l’industria da un lato e la medicina dall’altro. Dai fiori di questa pianta si ricava infatti il CBD, una sostanza preziosa per le sue proprietà rilassanti e calmanti (attenzione: non allucinogene), sia in caso di stress e ansia, sia in caso di dolori cronici.

C’è di più. Analizzando l’intera filiera della canapa, si scopre che non c’è una produzione di rifiuti ad alto impatto ambientale, anzi: la sua coltivazione contribuisce ad abbattere le emissioni di gas serra, realizzando contemporaneamente un processo di fitobonifica, poiché migliora la fertilità dei suoli, e ha un ruolo di diserbante naturale.
Perchè quindi non ci stiamo dedicando in modo più massivo alla coltivazione della canapa?

Fonte: Il Sole 24 Ore

La cannabis light nuoce alla criminalità organizzata

La cannabis light nuoce alla criminalità organizzata

Secondo uno studio italiano la legalizzazione della cannabis light nel nostro Paese ha ridotto la quantità di marijuana spacciata e i relativi ricavi delle organizzazioni criminali

La cannabis light nuoce alla criminalità organizzata. È questa, in sintesi, la conclusione di uno studio condotto da tre ricercatori italiani e pubblicato sulla rivista European Economic Review, “Light cannabis and organized crime. Evidence from (unintended) liberalization in Italy” – “Cannabis leggera e criminalità organizzata: prove della liberalizzazione (non intenzionale) in Italia”. Dalla ricerca, la prima di questo tipo nel nostro Paese, emerge che la legalizzazione della  cannabis leggera in Italia ha ridotto nel giro di poco più di un anno la quantità di marijuana spacciata e i relativi ricavi delle organizzazioni criminali (qui lo studio completo).

La “liberalizzazione involontaria”

Vincenzo Carrieri e Francesco Principe, ai tempi dello studio in forza presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università degli Studi di Salerno, in collaborazione con Leonardo Madio, già nel Department of Economics and Related Studies dell’University of York (Inghilterra), hanno incrociato i dati forniti dalla polizia sui sequestri di cannabis illegale condotti a livello provinciale con le vendite di cannabis light registrate fino a marzo 2018 a partire dal dicembre 2016, ovvero dall’entrata in vigore della legge 242/2016 sulla canapa industriale che, a causa di un vuoto legislativo , ha dato origine a quella che nello studio viene definita “liberalizzazione involontaria” della canapa, portando alla regolare vendita del prodotto purché caratterizzato da una ridotta percentuale (tra lo 0,2% e lo 0,6%) di tetraidrocannabinolo o Thc, il principio psicoattivo.

Più cannabis shop, meno confische e arresti per droga

Lo studio ha preso in esame un periodo di tempo di 15 mesi, ma i dati più significativi sono quelli a partire dal maggio 2017, ovvero da quando è diventato disponibile sul mercato il primo raccolto successivo alla legalizzazione involontaria. “La ricerca – spiegano gli autori – ha dimostrato come nelle province con maggiore concentrazione di rivenditori di canapa legale ci sia stata, a parità di operazioni di polizia, una riduzione delle confische di prodotti stupefacenti e una riduzione del numero di arresti per reati di droga”. E ha messo in evidenza che, nel breve arco temporale considerato, la legalizzazione della cannabis light ha portato a una riduzione di circa l’11% dei sequestri di marijuana per ogni cannabis shop. Una percentuale che, tradotta in chili di cannabis illegale confiscata, sta a significare un calo dei sequestri di marijuana pari a 6,5 chili per ogni negozio specializzato in prodotti a base di cannabis. “La liberalizzazione involontaria della cannabis light – si legge nello studio – ha avuto un impatto anche sul numero di piante di cannabis illegali confiscate – 37 per ogni cannabis shop – e sulla riduzione dei sequestri di hashish, 8% per ogni cannabis shop”.

Criminalità, ricavi perduti per circa 200 mln euro l’anno

“Queste stime – si legge nello studio – consentono di calcolare le entrate perdute per le organizzazioni criminali. Considerando che il numero medio di cannabis shop a livello provinciale è di circa 2,76 e che il prezzo della marijuana è stimato in 7-11 euro al grammo, le nostre stime sulle 106 province considerate implicano che le entrate perdute a causa della liberalizzazione della cannabis light corrispondano – solo per quanto concerne la marijuana, escludendo l’hashish e le piante di cannabis illegali – a circa 200 milioni di euro all’anno”.

Ma l’effetto è sottostimato

Sono cifre che possono sembrare non molto significative, se si considera che in Italia il commercio illegale di marijuana e hashish comporta un giro d’affari da 3,5 miliardi di euro. I ricercatori precisano però che l’effetto reale potrebbe essere molto più vasto, dal momento che la marijuana sequestrata rappresenta solo una parte minoritaria di quella disponibile sul mercato nero.

Il “sostituto imperfetto”

Al contrario, spiegano gli autori dello studio, i risultati ottenuti in termini di ricavi perduti da parte della criminalità organizzata appaiono invece interessanti se si considera che la cannabis light è un “sostituto imperfetto” della cannabis illegale, poiché caratterizzata da “effetti ricreativi molto più bassi, dovuti alla percentuale minima di Thc in essa contenuta”, mentre il Thc presente nella marijuana da strada può arrivare a superare il 20%, con il noto “effetto sballo” che ne consegue. “Questi risultati – scrivono – supportano l’argomentazione secondo cui, anche in un breve periodo di tempo e con un sostituto imperfetto, la fornitura di droghe illegali da parte del crimine organizzato viene rimpiazzata dalla presenza di rivenditori ufficiali e legali”.

Effetto sostituzione

I ricercatori parlano di un “effetto di sostituzione” inatteso nella domanda tra cannabis light e cannabis illegale. Quali sono i motivi del successo della canapa leggera? Possono essere diversi: dal voler evitare effetti stupefacenti eccessivi, al preferire un prodotto dall’origine controllata. E, molto probabilmente, un ruolo di tutto rispetto è giocato dal non doversi rivolgere al mercato illegale per effettuare l’acquisto.

Fonte: peopleforplanet.it

Cannabis: convergenze su legalizzazione tra PD e M5S

Cannabis: convergenze su legalizzazione tra PD e M5S

Dalla stretta sui cannabis shop alla liberalizzazione: la XVIII legislatura potrebbe cambiare radicalmente, nel giro di qualche mese, il suo orientamento. Solo qualche mese fa il ministro dell’Interno uscente Matteo Salvini annunciava l’intenzione di voler rivedere la legge 242 del 2016, che ha aperto la strada alla coltivazione e al commercio della canapa sativa (la pianta a basso contenuto di thc, dunque non una droga), minacciando la chiusura dei cannabis shop. Adesso con la nuova maggioranza Pd-5 stelle le cose potrebbero cambiare presto, almeno stando alla storia parlamentare degli ultimi anni e alle proposte di legge depositate dalle due forze politiche.

Sul tema della cannabis le proposte Pd depositate finora sono tre: una al Senato, a prima firma Tommaso Cerno; e due alla Camera, una a prima firma Enza Bruno Bossio e l’altra Nadia Ginetti. Tutte e tre le proposte propongono la depenalizzazione e la liberalizzazione del possesso e del commercio della pianta. Anche il Movimento 5 stelle finora ha depositato tre poposte di legge, tutte e tre in Senato: una a prima firma Matteo Mantero e le altre due a prima firma Lello Ciampolillo. La prima è molto simile alle proposte Pd ed è la più conosciuta delle tre perché venne depositata dal senatore M5s nei giorni in cui montava la polemica sulla ventilata chiusura dei cannabis shop, attirando le critiche dello stesso Salvini. I due ddl a firma Ciampolillo puntano solamente a consentire la coltivazione personale di cannabis (una restringe il campo all’uso terapeutica; l’altra lo apre a tutti quelli che lo desiderano). Tra le pdl a favore di una legalizzazione bisogna tenere conto anche della proposta presentata alla Camera da Leu (prima candidata ad entrare nella nuova maggioranza, dopo Pd e 5 stelle) e della proposta di legge popolare depositata più di un anno fa (visto che il Movimento 5 stelle si è sempre dichiarato favorevole a dare priorità a queste pdl).

La storia parlamentare recente offre un’altro spunto a supporto di quanti volessero scommettere su una possibile normativa targata Pd-M5s. Nella scorsa legislatura, a luglio 2017, quando la maggioranza Pd-Ncd votò insieme a Forza Italia per lo stralcio dalla pdl sulla cannabis della parte relativa alla legalizzazione (lasciando in piedi solo quella relativa all’uso terapeutico) il Movimento 5 stelle votò insieme ai Radicali a favore del testo alternativo, quello proposto da Daniele Farina di Sinistra italiana (oggi parte di Leu). In questa legislatura nessuna delle proposte di legge sul tema ha ancora iniziato l’esame ma con la nuova maggioranza le cose potrebbero cambiare.

Convergenza simile potrebbe essere trovata sul tema della canapa, riguardante direttamente il mondo agricolo e del commercio. In questa legislatura la questione è stata affrontata solo attraverso atti di indirizzo. Le commissioni Affari sociali e Agricoltura a Montecitorio da diversi mesi hanno iniziato l’esame di una serie di  risoluzioni: alcune (come quella di FdI) per cercare di frenare il nuovo business aperto dalla legge del 2016; e altre (in testa Pd e Leu) per cercare di sviluppare il settore chiedendo prima di tutto norme chiare, a cominciare dal tema della vendita delle infiorescenze e della quantità di thc negli alimenti a base di canapa. Le commissioni finora hanno svolto solo audizioni senza arrivare all’approvazione degli impegni, a causa delle divergenze tra Lega e 5 stelle, con i primi più favorevoli all’impostazione di FdI ed i secondi più vicini alle posizioni di sinistra.

Il presidente della commissione Agricoltura Filippo Gallinella (M5s), parlando a Public Policy, ha già annunciato di avere “voglia di trovare una soluzione per permettere agli agricoltori di poter vendere le infiorescenze alle ditte che fanno estrazione“. Convergenza, d’altra parte, già sperimentata a marzo di quest’anno, quando in aula del Senato la maggioranza votò a favore della mozione Pd che chiedeva all’Esecutivo di impegnarsi per l’emanazione dell’atteso decreto sul thc negli alimenti e – tra le altre cose – su “una nuova regolamentazione sia  per la coltivazione che per la commercializzazione della canapa”.

Per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa sono state presentate ben 4 proposte M5s, due alla Camera (a prima firma Castaldi-Cunial) e due al Senato (sempre a prima firma Mantero-Ciampolillo). A luglio Mantero ha presentato la richiesta d’urgenza per la sua proposta a favore del settore canapicolo, per consentire in particolare la vendita delle infiorescenze. La richiesta è stata sottoscritta da quasi 50 senatori M5s e se approvata consentirà una discussione in tempi rapidi del ddl. Alla riapertura dei lavori dell’assemblea di Palazzo Madama la richiesta d’urgenza dovrebbe essere messa ai voti. Proprio questa potrebbe essere la prima occasione in cui la nuova maggioranza potrebbe segnare il cambio di passo della legislatura.

 

Fonte: https://www.publicpolicy.it/cannabis-legalizzazione-canapa-convergenze-m5s-pd-prima-prova-senato-85754.html

USA: via libera della DEA per la ricerca sulla cannabis

USA: via libera della DEA per la ricerca sulla cannabis

La Drug Enforcement Administration (DEA) ha annunciato l’intenzione di facilitare ed espandere la ricerca scientifica e medica sulla cannabis negli Stati Uniti.

L’annuncio dell’agenzia federale antidroga statunitense è arrivato lunedì 26 agosto, poche settimane dopo che una corte d’appello ha ordinato alla DEA di dare una risposta agli enti che avevano richiesto di effettuare ricerche scientifiche sulla cannabis medica. Infatti, l’annuncio della DEA è stata la conseguenza dell’appello del Scottsdale Research Institute dell’Arizona, che aveva presentato a giugno 2019 una sollecitazione alla DEA.

I ricercatori avevano lamentato il fatto che il monopolio della ricerca sulla cannabis rendesse difficile ottenere forniture di cannabis. Ad agosto 2016, La DEA aveva promesso che avrebbe esteso il programma di ricerca a più coltivatori. Ma questo non è mai avvenuto. Da quel momento i ricercatori hanno fatto causa all’agenzia federale. Prima dell’annuncio di lunedì infatti, la DEA aveva concesso l’autorizzazione federale per coltivare cannabis per uso scientifico e di ricerca solo all’Università del Mississippi. Ma negli ultimi due anni, il numero totale delle richieste per condurre ricerche sulla cannabis è aumentato di oltre il 40%, passando da 384 (gennaio 2017) a 542 (gennaio 2019).

“La DEA sta facendo progressi nel programma di registrazione di ulteriori coltivatori per la ricerca autorizzata a livello federale e collaborerà con altre agenzie federali competenti”, ha dichiarato Uttam Dhillon, amministratore delegato della DEA. “Supportiamo ulteriori ricerche sulla cannabis e i suoi derivati e crediamo che la registrazione di un numero maggiore di coltivatori consentirà ai ricercatori di avere accesso a una più ampia varietà di studi”.

Inoltre, sempre secondo la nota pubblicata dall’agenzia, alcuni estratti della cannabis non richiederanno più la registrazione presso la DEA per coltivare o produrre. L’Agricolture Improvement Act del 2018 (meglio conosciuto come Farm Bill del 2018) ha differenziato i termini “cannabis”(o marijuana) e “canapa” per uso industriale. Di conseguenza, la canapa e i preparati di cannabidiolo (CBD) e THC pari o inferiori ad un livello dello 0.3%, non sono sostanze controllate e di conseguenza non è richiesta una registrazione presso la DEA per quanto riguarda la coltivazione e la ricerca.

Fonte: www.weedworld.it