da Redazione | 25 Giugno, 2020 | Italia, Normative, Notizie
Oggi il sit in a Montecitorio promosso da MeglioLegale per sensibilizzare il Parlamento. Secondo uno studio si potrebbero creare 350mila posti di lavoro e far incassare all’erario tre miliardi di euro
Sedici parlamentari stanno coltivando cannabis nelle proprie abitazioni, e quattro di loro si sono autodenunciati sui social nell’ambito della campagna Meglio Legale, che punta alla legalizzazione delle droghe leggere.
I parlamentari di Pd, M5S e +Europa che hanno già avviato la coltivazione o che si accingono a farlo, avendo ricevuto il seme da Meglio Legale, sono: Riccardo Magi, Matteo Mantero, Aldo Penna, Michele Sodano, Conny Giordano, Doriana Sarli, Caterina Licatini, Carmen Di Lauro, Chiara Gribaudo, Andrea Romano, Enza Bruno Bossio, Teresa Manzo, Elisa Tripodi, Michele Usuelli, Carmen Di Lauro e Luigi Sunseri.
In tutta Italia lo hanno fatto 2000 persone.
I quattro parlamentari che hanno deciso di autodenunciarsi pubblicando un video sui propri social sono Mantero, Magi, Penna, Sodano.
E domani, alle ore 10, ventisei parlamentari della maggioranza, insieme a esponenti della società civile, saranno davanti a Montecitorio per una manifestazione promossa per sensibilizzare il Parlamento sulla legalizzazione delle droghe leggere.
La campagna si chiama #Iocoltivo. Vi hanno aderito venti parlamentari Cinquestelle, tre Pd, Roberto Giachetti di Italia Viva, Antonio Tasso del Gruppo Misto, Riccardo Magi di + Europa. Tra i Cinquestelle figurano, tra gli altri, Giuseppe Brescia, Elio Lannutti e Barbara Lezzi. Tra i Pd ci saranno Enza Bruno Bossio, Chiara Gribaudo, Giuditta Pini.
“In un momento di fragilità economica come quello che stiamo attraversando non possiamo permetterci di ignorare i benefici che la legalizzazione porterebbe al nostro Paese”, ha commentato Antonella Soldo, coordinatrice di Meglio Legale.
“Ci sono in Italia sei milioni di consumatori di cannabis costretti a rivolgersi alla criminalità. La legalizzazione significherebbe bruciare gli affari alle mafie”, sostiene Riccardo Magi, di +Europa.
Una ricerca dell’Università La Sapienza stima in 350mila i posti di lavoro che si potrebbero creare grazie alla legalizzazione.Il docente del Dipartimento di scienze sociali ed economiche dell’Università La Sapienza di Roma, Marco Rossi, ha calcolato che se il mercato della cannabis fosse regolamentato come quello dei tabacchi gli scambi potrebbe emergere e consentire così d’incassare all’erario circa 3 miliardi di euro solo dalle tasse sulle vendite. Lo Stato inoltre risparmierebbe circa 600 milioni spesi ogni anno da polizia, magistratura, e sistema carcerario per contrastare la vendita delle droghe. Secondo Rossi i circa 350mila nuovi addetti si avrebbero sia nei servizi di vendita, sia nella coltivazione.
La marijuana è legale in 11 Stati americani: Washington, Colorado, California, Nevada, Massachusetts, Vermont, Alaska, Maine, Illinois, Oregon e Michigan. Entro il 2025 si prevedono entrate pari a 106 miliardi di dollari e la creazione di un milione di posti lavoro, sostiene una nota di MeglioLegale.
da Redazione | 15 Maggio, 2020 | Italia, Normative, Notizie
I tabaccai sono rimasti aperti per non mettere in crisi i tabagisti. Ma l’epidemia ha dimostrato che serve un nuovo approccio alle sostanze psicotrope meno dannose.
La regolamentazione legale della cannabis può contribuire a dare un futuro all’Italia in questo tragico momento». Con questo appello il 20 aprile scorso sono stati convocati i primi stati generali della cannabis – rigorosamente online – per tornare a proporre all’Italia un’opportunità di giustizia sociale ed economica, oltre che di libertà di scelta.
Qualche settimana fa l’Economist aveva sorriso notando che in Italia e in Spagna, due tra i paesi maggiormente colpiti dal Coronavirus, il lockdown non aveva imposto la chiusura dei tabaccai. È ampiamente dimostrato che fumare tabacco sia un’abitudine nociva alla salute, e per questo scoraggiata da una serie di leggi e regole internazionali che ne sconsigliano il consumo, vietandone la pubblicità e la vendita ai minorenni. In quasi tutti i paesi del mondo i pacchetti di sigarette, tabacco o sigari presentano messaggi intimidatori circa la mortalità causata dal fumare – e indubbiamente fumare non fa bene alla salute, anzi! Malgrado tutto ciò, però, oltre un miliardo di persone nel mondo continuano a fumare e le stime internazionali ritengono che quasi 900 mila persone muoiano annualmente per patologie causate o connesse col fumo.
Ma allora, se è così pericoloso e così sconsigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché è stato deciso di far restare aperti tabaccai in un momento di grave crisi sanitaria? La risposta è semplice: perché incidere sullo stress creando (anche) l’astinenza dal fumo sarebbe stato un ulteriore appesantimento delle quarantene. Ma le astinenze non si fermano alla nicotina, interessano tante altre sostanze, legali e non, che di questi tempi, se consumate consapevolmente, potrebbero accompagnare il distanziamento sociale.
È notorio che la cannabis non ha mai ucciso nessuno in nessuna parte del mondo, anzi la crescente letteratura scientifica a favore del suo impiego terapeutico ha portato l’Oms a raccomandarne la riclassificazione all’interno del sistema internazionale di controllo delle sostanze psicotrope. Riclassificazione che l’Italia ha già effettuato da quando la produce presso lo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze per cercare di soddisfare la domanda di prodotti cannabinoindi prescritti dai medici italiani.
E allora perché nel momento in cui si consente il proseguimento di un’abitudine molto rischiosa come il fumo del tabacco non si sono allentate le proibizioni relative, se non altro, alla produzione domestica di cannabis per accompagnare il lockdown con l’assunzione di principi attivi che possono rilassare in situazioni di stress dovuto alla monotonia quotidiana o alla grande incertezza per il futuro? Si tratterebbe di una misura di “buon senso” da far trapelare – tra l’altro in parte già suggerita recentemente dalla Corte di Cassazione – che un domani, “quando tutto questo sarà finito”, potrebbe evolversi in una misura di buon governo che ci potrebbe condurre alla regolamentazione legale della produzione, consumo e commercio di una pianta dalla straordinaria penetrazione in tutti gli strati sociali e dalle numerose applicazioni terapeutiche.
In attesa che il Parlamento discuta di legalizzazione della cannabis, partendo dalla proposta di legge “Legalizziamo.it” presentata nel 2016 alla Camera, il 20 aprile è partita la mobilitazione #IoColtivo di MeglioLegale.it, DolceVita.it Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani per far crescere una piantina in casa e la speranza riformatrice nel palazzo.
da Redazione | 8 Maggio, 2020 | Mondo, Notizie
Il 20 aprile, o il 4/20, è un giorno in cui molte persone in tutto il mondo celebrano la cultura della marijuana raccogliendo le piante, ascoltando musica e gustando cibo.
Ma l’American Civil Liberties Union (ACLU) sta usando la festa non ufficiale della cannabis per attirare l’attenzione su un problema molto serio: nonostante il crescente numero di Stati che stanno legalizzando, le persone di colore hanno ancora molte più probabilità di essere arrestate per marijuana rispetto ai bianchi, anche se i tassi di consumo sono praticamente identici tra le razze.
In un nuovo rapporto pubblicato lunedì 20 aprile, l’ACLU fa sapere che mentre in generale gli arresti sono molto in calo negli Stati che hanno posto fine al divieto, in questi stessi luoghi persistono disparità razziali negli arresti. Nel frattempo, alcuni Stati dove è ancora illegale stanno arrestando i neri per la cannabis con un tsso percentuale dieci volte maggiore dei bianchi.
Ecco i principali risultati del rapporto – “Un racconto di due Paesi: arresti mirati a livello razziale nell’era della riforma della marijuana” – che fa seguito a uno studio analogo pubblicato dall’organizzazione nel 2013 e che aveva attirato l’attenzione sugli arresti ingiusti in un momento in cui la legalizzazione stava appena iniziando a diventare una questione importante nella politica americana
Gli arresti di marijuana sono ancora diffusi negli Stati Uniti
Gli arresti per marijuana a livello nazionale sono diminuiti del 18% dal 2010, ma dal 2015 si è registrato un aumento, anche se più Stati stanno attuando politiche di legalizzazione o di depenalizzazione.
Gli arresti per cannabis hanno rappresentato il 43 percento di tutti gli arresti per droga nel 2018, l’anno più recente del rapporto, e la stragrande maggioranza di quegli arresti – l’89,6 percento – erano solo per possesso.
Le disparità razziali estreme persistono nell’applicazione delle leggi sulla marijuana
Complessivamente, i neri hanno 3,64 volte più probabilità rispetto ai bianchi di essere arrestati per possesso di marijuana, anche se i tassi di consumo sono comparabili. La tendenza verso la legalizzazione e la depenalizzazione non ha ridotto le tendenze nazionali in termini di applicazione differenziata e, in alcune parti del Paese, sono peggiorate.
Gli afroamericani hanno maggiori probabilità di essere arrestati per possesso di marijuana in ogni singolo Stato del paese.
“Le disparità razziali negli arresti per possesso di marijuana esistono in tutto il Paese, in tutti gli Stati, nelle contee grandi e piccole, urbane e rurali, ricche e povere, e con grandi e piccole popolazioni nere”, afferma il rapporto. “In effetti, in ogni Stato e in oltre il 95 percento delle contee con oltre 30.000 persone in cui almeno l’1 percento dei residenti sono neri, questi ultimi vengono arrestati con percentuali maggiori rispetto ai bianchi”.
Gli arresti per marijuana diminuiscono dopo la depenalizzazione, ma diminuiscono più bruscamente negli Stati in cui la legalizzazione è totale
Non sorprende il fatto che la cannabis legalizzata abbia prodotto una riduzione degli arresti per possesso di marijuana, ma l’ACLU ha scoperto che questi stessi arresti avevano mostrato una tendenza al ribasso anche prima della fine del divieto.
Gli Stati con politiche meno complete che semplicemente depenalizzano il possesso, mostrano anch’essi una riduzioni degli arresti, ma non tanto quanto in quei luoghi in cui il divieto è del tutto finito. I tassi di calo di arresti per possesso di cannabis sono all’incirca otto volte più alti negli Stati in cui si è depenalizzato rispetto a quelli che invece hanno legalizzato, sebbene siano inferiori rispetto a quegli Stati in cui c’è ancora un totale divieto.
Quando si tratta di arresti per vendita di marijuana, gli Stati che hanno legalizzato hanno avuto un calo dell’81,3 per cento tra il 2010 e il 2018, mentre gli Stati che hanno depenalizzato hanno subito una riduzione del 33,6 per cento nello stesso periodo.
Le disparità razziali persistono sia negli Stati che hanno legalizzato che in quelli che hanno depenalizzato
Anche se gli arresti complessivi per marijuana sono in calo negli Stati che hanno legalizzato o depenalizzato, i neri hanno ancora molte più probabilità di essere beccati per la cannabis rispetto ai bianchi. “In ogni stato che ha legalizzato o depenalizzato il possesso di marijuana, i neri hanno ancora più probabilità di essere arrestati per possesso rispetto ai bianchi”, ha rilevato l’ACLU.
“La maggior parte delle giurisdizioni che hanno applicato una politica progressiva sulla marijuana non sono riuscite a farlo anche in termini di giustizia razziale”, dice il rapporto. “In quanto tale, sebbene la legalizzazione e la depenalizzazione sembrino ridurre il numero complessivo di arresti per possesso di marijuana sia per i bianchi che per i neri, tali leggi non hanno sostanzialmente ridotto, e tanto meno eliminato, i tassi di arresti significativamente più elevati dei neri”.
Mentre in media gli Stati legalizzatori hanno disparità razziali più basse per gli arresti di possesso di marijuana rispetto a quelli dove c’è stata solo la depenalizzazione o in cui il divieto è pienamente in vigore, Maine e Massachusetts – che hanno entrambi votato per legalizzare la cannabis nel 2016 – hanno avuto disparità razziali maggiori nel 2018 rispetto a quanto avessero registrato nel 2018-2010.
“L’unica scoperta comune ad ogni Stato e nella stragrande maggioranza delle contee, è che i neri hanno maggiori probabilità di essere arrestati per possesso di marijuana rispetto ai bianchi, indipendentemente dal fatto che il possesso sia illegale, legale o depenalizzato nello stesso Stato”, conclude il rapporto.
L’ACLU ha anche riferito che gli scarsi dati della polizia rendono difficile comprendere appieno l’impatto ingiusto dell’applicazione delle leggi sulla marijuana attraverso le linee razziali. Ad esempio, i numeri di arresti dell’FBI non fanno distinzioni tra i latini e le altre razze, non mettendo in risalto il particolare impatto che il divieto ha sui latini e sui neri.
Insieme al rapporto, l’ACLU ha lanciato uno strumento online che rende facile per le persone vedere quanto siano discriminatorie le pratiche di applicazione delle leggi sulla marijuana nei propri Stati.
Il Montana è il peggiore, con i neri che hanno 9,6 volte più probabilità di essere arrestati per marijuana rispetto ai bianchi. Il Kentucky non è molto indietro con un tasso del 9,4.
In Colorado, lo Stato con il tasso meno discriminatorio, gli afroamericani hanno ancora 1,5 volte più probabilità di essere beccati per la cannabis rispetto ai bianchi.
Analizzando a livello di contee, l’ACLU ha scoperto che anche all’interno degli Stati ci sono grandi differenze nel modo in cui vengono applicate le leggi sulla cannabis.
Nella contea di Franklin, nel Massachusetts, una persona di colore ha 117 volte più probabilità di essere beccata per possesso di marijuana rispetto a una persona bianca.
“Gli Stati Uniti hanno intrapreso una guerra decadente, devastante, lunga decenni contro la droga, inclusa la marijuana, in specifiche comunità. Coinvolgendo centinaia di migliaia di persone ogni anno – milioni ogni decennio – per reati da marijuana, questa campagna razzista ha causato danni profondi e di vasta portata alle persone arrestate, condannate e/o incarcerate per questi reati”, ha detto l’ACLU. “Tale danno non può essere annullato, ma come Paese possiamo riconoscere, riparare e ricostruire in modo che il nostro futuro non assomigli al nostro passato proibizionista.”
Guardando al futuro, l’organizzazione raccomanda ai governi federali e statali di legalizzare la marijuana, ma che non si fermino solo qui. Oltre a mandar via i precedenti pregiudizi e garantire clemenza alle persone ancora incarcerate per i cambiamenti delle leggi sulla cannabis, l’ACLU sta sollecitando ché i nuovi mercati legali siano equi ed accessibili alle persone delle comunità che sono state maggiormente danneggiate dalla guerra alla droga.
“La domanda non è più se gli Stati Uniti debbano legalizzare la marijuana (che sta già accadendo) ma se la legalizzazione della marijuana riguarda anche l’equità razziale (che dovrebbe esserlo). Inoltre, non si tratta più di stabilire se tutti i livelli di governo dovrebbero reindirizzare le risorse prima utilizzate per perseguire la marijuana verso investimenti in sanità pubblica e politiche di collaborazione con le varie… ma che si dovrebbe stabilire”, afferma il rapporto.
“Piuttosto, la domanda è: quando gli Stati legalizzano, come possono farlo con una giustizia razziale sì da affrontare la molteplicità di danni che sono stati selettivamente messi in atto contro le comunità di Black e Latin per decenni?”.
Sebbene gli oppositori della legalizzazione della marijuana abbiano indicato dati precedenti che mostravano disparità razziali in corso nel post-divieto, e cos’ argomentare contro il cambiamento di politica, l’ACLU è molto chiara sul fatto che il proprio nuovo rapporto non dovrebbe essere usato per spingere ad una criminalizzazione continua.
“In breve, la legalizzazione da sola significa che vengono arrestati meno neri. Al contrario, proibizione significa più – molte, molte più persone di colore che vengono arrestate, incarcerate, condannate”, ha scritto in una E-mail Ezekiel Edwards, autore del rapporto e direttore del Progetto di riforma del diritto penale per l’ACLU. “Sarebbe quindi sbagliato suggerire che la legalizzazione serve ad alleviare gli impatti negativi della criminalizzazione della marijuana”.
Il rapporto ha anche messo in guardia dal fermarsi alla semplice depenalizzazione del possesso di cannabis, una politica che alcuni oppositori della legalizzazione sostengono come alternativa tra l’incarcerazione e un mercato commerciale della marijuana, sottolineando che ci sono “più persone di colore che vengono arrestate in Stati che depenalizzano rispetto a quelli che hanno legalizzato“.
Il rapporto infine ha rilevato che “la legalizzazione da sola non affronta le disparità razziali negli arresti per marijuana, né fa raggiungere l’equità razziale”.
È cruciale – sostiene Edwards – che gli Stati “concenttrino la legalizzazione sulla giustizia razziale”.
“Ciò significa non solo includere una legislazione sull’equità per le comunità direttamente danneggiate dal proibizionismo, ma anche far s’ che la legalizzazione sia legata al cambiamento del modo in cui i dipartimenti di polizia trattano le comunità di colore”. “Se la marijuana viene legalizzata senza ridurre la profilazione razziale e le inutili molestie e incarceramenti delle persone a causa del colore della loro pelle o del quartiere in cui vivono, ci sarà un calo degli arresti per marijuana ma nessun impatto tangibile sulle disparità razziali di quegli arresti o su altri tipi di arresti per altri piccoli reati per i quali si nota che la polizia tratta sempre le persone in modo diverso in base alla razza”.
da Redazione | 8 Maggio, 2020 | Italia, Notizie
Il sequestro risale a qualche settimana fa quando due 25enni sono stati fermati vicino alla frontiera di Ponte Tresa. Ora un’azienda specializzata dovrà testare la presenza di THC
È stato eseguito a Ponte Tresa, il campionamento su un quintale e mezzo di cannabis sequestrata alla frontiera.
Il sequestro era avvenuto alcune settimane fa da parte dei Carabinieri della stazione di Ponte Tresa che, nel corso dei servizi di controllo sulla circolazione stradale, in prossimità del valico con la Svizzera, avevano intimato l’alt ad un mezzo commerciale con a bordo due 25enne residenti a Milano.
I giovani trasportavano 150 kg di cannabis suddivisa in sacchi nei coi contenuti ve erano le infiorescenze notoriamente note di principio attivo. “Stante la difficoltà nel distinguere se si tratta effettivamente di Marijuana oppure la cosiddetta canapa light -spiegano i Carabinieri- i militari hanno proceduto al sequestro, fermo restando che, anche nel caso di sostanza la cui coltivazione è stata considerata lecita, per essere trasportata ha bisogno di idonee certificazioni. Soprattutto se viene fatto fare l’ingresso in Italia da un paese straniero”.
Attualmente i Carabinieri hanno provveduto ad eseguire i campionamenti da parte del personale specializzato a cui è stata affidata, allo scopo di individuare la percentuale di principio attivo. È necessario infatti, che la canapa sativa mantenga una percentuale di THC inferiore allo 0.5 % per considerarsi canapa light. Altrimenti diventa sostanza stupefacente a tutti gli effetti.
da Redazione | 30 Aprile, 2020 | Italia, Notizie
Quartu, 30 aprile 2020 – Un ragazzo è stato arrestato nei giorni scorsi a Quartu con l’accusa di detenzione e spaccio di droga. L’uomo B.C. di 30 anni è stato trovato in possesso di droga per un valore complessivo sul mercato di oltre 100 mila euro.
Il 30enne aveva studiato il commercio di sostanza stupefacente nei minimi dettagli spacciandolo come fosse vendita di canapa legale.
La marijuana veniva infatti confezionata in bustine con logo che indicava la presenza di canapa come se in realtà fosse legale, ovvero a basso contenuto di principio attivo Thc.
Il venditore-spacciatore avrebbe avuto inoltre l’ardire di pubblicizzare l’arrivo di nuova merce anche attraverso i social network.
Il blitz della polizia è scattato grazie alla segnalazione giunta al commissiariato di Quartu tramite la App YouPol.
Il giovane è stato individato e in seguito ad un controllo presso il suo domicilio è stato possibile riscontrare che lo stesso aveva trasformato parte della sua casa in una piccola serra per le piante di cannabis con un piccolo laboratorio al seguto per tagliare la droga e per effettuare l’estrazione dell’hascish dalla resina della droga, oltre che tutto l’occorrente per il confezionamento con bustine corredate di marchio di fabbrica.
A seguito del bliz sono state sequestrate 63 piante di cannabis, 900 grammi di polvere resinosa di marijuana e 700 grammi di droga già essiccata. Il giovane, dopo la convalida del provvedimento, ora si trova agli arresti domiciliari.
da Redazione | 30 Aprile, 2020 | Italia, Notizie
Tra modifiche operative e nuovi gusti dei consumatori, il mercato Usa continua a tirare soprattutto per i prodotti a base di CBD. Analogo il quadro italiano, con l’aumento dell’uso di cannabs light per il benessere psicofisico: lo rivela un questionario di EasyJoint.it
A cinque settimane dai primi ordini di quarantena, gli Stati Uniti restano il Paese più colpito dal Covid-19: oltre un milione i contagi confermati con quasi 60.000 decessi. Ugualmente pesante la crisi economica: 22 milioni di americani hanno formalmente richiesto il sussidio di disoccupazione nell’ultimo mese, e si prevede che i bilanci statali perderanno complessivamente almeno 500 miliardi di dollari fino all’anno fiscale 2022. Nel mirino anche il futuro del promettente settore della cannabis legale, mentre il quadro resta fluido e diverso nei vari Stati che la prevedono.
Promesse che potranno concretizzarsi solo sostenendo il settore in questa fase delicata. Ciò vuol dire innanzitutto garantire in qualche modo lo stimolo economico anche a queste aziende, pur se finora escluse perché a livello federale vige comunque il proibizionismo. È questo l’obiettivo di un apposito disegno di legge appena presentato deputati Democratici Earl Blumenauer (Oregon) ed Ed Perlmutter (Colorado). E sull’onda delle celebrazioni del 4/20, le strutture più consolidate continuano a impegnarsi per dare una mano. È il caso della californiana Caliva che ha contribuito fino a 10.000 dollari alla Silicon Valley Strong, entità creata proprio per aiutare i residenti meno abbienti che rischiano di essere trasferiti altrove, oltre ad aver donato migliaia di strumenti protettivi allo staff del Valley Medical Center di Santa Clara.
In ogni caso, il settore della cannabis legale Usa rimane quasi ovunque uno dei servizi essenziali, pur se il consumo sembra soggetto ad andamenti alterni. In Massachusetts, il cui governatore ha ordinato la chiusura totale, decisione che molti ritengono catastrofica per l’eventuale ripresa successiva. Intanto nel giro di 10 giorni si è registrato un picco di 1.300 richieste per la tessera terapeutica. In California e Colorado i negozi restano aperti, e le ordinazioni fioccano, pur se online o al telefono, con consegna a domicilio o fuori dai negozi. In forte crescita gli investimenti nelle app mobili, ma è sotto pressione la filiera produttiva e distributiva, vista l’ovvia riduzione del personale.
Modifiche operative che probabilmente resteranno valide anche nel post-Covid, come pure certe nuove abitudini dei consumatori. Tra cui la scelta di passare a prodotti commestibili, rispetto al fumo con danni aggiuntivi ai polmoni, e soprattutto optare per prodotti a base di Cbd, pressoché privi del principio attivo. Vanno forte i biscottini, anche senza glutine, vegani, senza zucchero, e perfino kosher. Ciò per i comprovati effetti calmanti del Cbd contro ansia, depressione e insonnia, disturbi sempre più frequenti proprio per via della quarantena forzata. Oltre che per mantenere o ritrovare il buon umore.
Analogo il quadro italiano, fatte le dovute proporzioni, rispetto al corrispettivo mercato della cannabis light. Lo si deduce da un apposito questionario proposto agli acquirenti su EasyJoint.it per verificare eventuali cambiamenti nei consumi e nelle motivazioni durante l’emergenza covid rispetto ai periodi precedenti. Le risposte ricevute tra il 14 e il 19 aprile, quasi 1.500 in totale, hanno rivelato che con la quarantena i consumi sono quasi raddoppiati.
In base ai dati del negozio online, fino a gennaio 2020, il consumo medio era di 2,93 grammi a settimana, mentre ora si è passati a 4,01 grammi pro capite, con una riduzione del 10% dei consumi inferiori al grammo/settimana. Emerge uno scivolamento tra il consumo sotto il grammo verso la fascia fino a 5 grammi con un aumento del 7% di chi ne consuma oggi tra i 5 ed i 10 grammi a settimana e un raddoppio, dal 2 al 4%, di chi ne usa più di 10 grammi a settimana corrispondente all’uso giornaliero.
Interessante analizzare le motivazioni che portano all’acquisto: il 23% dice di usarla per superare l’ansia, il 20% per migliorare la qualità del sonno. Vi è un incremento del 3% tra chi la utilizza per migliorare l’umore. E alla domanda generale se la cannabis light abbia aiutato in questo periodo, l’87% ha risposto di sì, e per il 50% di questi ha contribuito specificamente ad alleviare situazioni di ansia e stress.
Commenti recenti