Cannabis terapeutica: dieci cose da sapere

Cannabis terapeutica: dieci cose da sapere

In Italia la cannabis terapeutica viene prescritta per curare e gestire i sintomi di molte patologie, tra cui il dolore nella sclerosi multipla o nelle lesioni del midollo spinale, il dolore cronico di origine neuropatica o oncologica, per il glaucoma e per la sindrome di Tourette. E ancora: per nausea causata da chemioterapia, radioterapia, terapie per l’Hiv, anoressia. Eppure, sebbene siano passati dieci anni dalla sua introduzione, ci sono ancora molte difficoltà per l’accesso al farmaco, dalla prescrizione da parte del medico alla possibilità di reperirla in farmacia. Se ne è parlato al 39esimo Congresso nazionale della Società italiana di farmacologia (Sif), tenuto nei giorni scorsi a Firenze, durante il quale è emerso come permanga ancora oggi una alta variabilità tra le farmacie, anche della stessa Regione, nella preparazione galenica del prodotto finale. Sebbene infatti esistano linee guida ministeriali, infatti, quello che ancora manca è uno standard di produzione per cui il rapporto tra i due componenti principali, ossia il Thc e il Cbd, sia sempre lo stesso. Ma chi può prescrivere la cannabis terapeutica e dove può essere reperita? E ancora: come si assume? Per fare un po’ più di chiarezza su queste e altre domande, ecco un vademecum con tutte le informazioni da sapere, stilato con l’aiuto di Alfredo Vannacci, professore associato di Farmacologia e Tossicologia dell’Università di Firenze e membro della Società italiana di farmacologia.

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1. Per il trattamento di quali patologie è stata autorizzata?
“I derivati della cannabis non sono allo stato attuale una vera e propria terapia farmacologica, non hanno uno specifico bersaglio molecolare e non curano una malattia, nel senso in cui generalmente si intende l’azione di un farmaco convenzionale”, racconta Vannacci. “Sono invece a tutti gli effetti prodotti fitoterapici ad azione sintomatica potenzialmente utili in diversi quadri patologici”. In particolare, prosegue l’esperto, il loro utilizzo è autorizzato per il trattamento del dolore cronico (oncologico, neuropatico o associato a spasmi muscolari in patologie neurologiche), per il controllo di nausea e vomito da chemioterapici, per la cachessia e l’anoressia causate da tumori o HIV, per il controllo dei movimenti muscolari involontari in alcune patologie neurologiche e per la riduzione della pressione endooculare nel glaucoma. “In tutti questi casi – avverte l’esperto – non deve essere utilizzata come prima scelta, ma solo in caso di fallimento (o eccessivi effetti avversi) della terapia farmacologica standard”.

2. Da dove proviene?
I derivati della cannabis disponibili in Italia provengono sia dall’estero che da una produzione nel nostro Paese. “La materia prima di provenienza estera è stata la prima ad essere disponibile in Italia, e si tratta attualmente di prodotti provenienti soprattutto dall’Olanda, con proporzioni diverse di principi attivi”, spiega Vannacci. “Più recentemente è stata introdotta la materia prima italiana, realizzata ad opera dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e nota con la sigla FM2”.

3. Chi la può prescrivere e dove si recepisce?
Le preparazioni a base di cannabis possono essere prescritte da qualsiasi medico abilitato, mediante prescrizione magistrale non ripetibile (Rnr). Tuttavia, se vengono prescritte a carico del Ssn, a seconda della Regione in cui si è residenti, è possibile che solamente alcuni medici o alcune strutture siano abilitati a prescriverla. “C’è da dire che nella nostra esperienza il loro utilizzo avviene soprattutto in ambiente ospedaliero da parte di reumatologi e terapisti del dolore, specialmente anestesisti e rianimatori”, spiega Vannacci. “Una volta ricevuta la prescrizione, la preparazione magistrale può essere fatta preparare in qualsiasi farmacia dotata di un laboratorio di galenica”.

4. Come si prepara e come si ottiene dal farmacista?
Le farmacie, prosegue l’esperto, non possono distribuire la cannabis direttamente nei flaconi originali ottenuti dai produttori. Il farmacista, quindi, può dispensare la cannabis al paziente solo dopo averla ripartita nelle dosi indicate in ricetta. “Non è possibile dare più cannabis di quella prescritta dal medico e non è possibile ripartire la cannabis in dosi diverse da quelle indicate in ricetta”, sottolinea Vannacci.

5. Come si assume?
“Le preparazioni possibili sono molte, ma allo stato attuale quelle principalmente utilizzate sono le cartine per decozione in tisana e le cartine per vaporizzazione mediante vaporizzatori”, spiega l’esperto. Di recente, alcuni medici preferiscono prescrivere l’estratto di cannabis in olio di oliva, in modo che possa essere assunto in gocce, ma, riferisce Vannacci, la sua azione è al momento discussa.

6. Quali sono i livelli di Thc e Cbd raccomandati?
I rapporti tra Thc e Cbd cambiano a seconda della materia prima di partenza: esistono prodotti con rapporto Thc : Cbd 1:1, altri con rapporto 20:1 a favore del Thc e altri con rapporto 1:9 a favore del Cbd. “Ovviamente gli effetti terapeutici sono differenti”, continua l’esperto, “ma la attuale ricerca sulle prove di efficacia non è ancora in grado di stabilire se esista effettivamente un rapporto ideale per le diverse indicazioni”.

7. Quali sono i suoi principali effetti?
L’effetto principale è quello analgesico, unito a un effetto miorilassante. Inoltre, sembra essere piuttosto rilevante anche l’effetto ansiolitico, che sarebbe soprattutto a carico della componente Cbd. “Oggi non esistono piani terapeutici basati sulle prove di efficacia per le varie patologie, anche se appare plausibile che indicazioni diverse possano giovarsi di preparazioni con una proporzione differente dei principi attivi”, spiega Vannacci. In linea generale, suggerisce l’esperto, indicazioni quali anoressia e nausea/vomito necessitano di dosi più basse (soprattutto di Thc), dosi maggiori per gli spasmi muscolari e dosi ancora più alte, ma variabili da persona a persona, per la terapia del dolore. “Non è poi da sottovalutare il fatto che le concentrazioni di principi attivi sono molto variabili e risentono anche della preparazione, del tempo di infusione, della temperatura e delle modalità di assunzione”, spiega Vannacci.

8. Ci sono limiti di età?
Per l’assunzione della cannabis terapeutica non ci sono limiti di età definiti. “Ma ovviamente l’utilizzo nei pazienti pediatrici e negli adolescenti deve essere condotto con estrema cautela”, spiega Vannacci. Come ricorda l’esperto, inoltre, di recente un farmaco a base di Cbd è stato approvato proprio per l’utilizzo in alcune forme di epilessia infantile e dovrebbe a breve essere disponibile anche in Italia. “I derivati della cannabis – avverte Vannucci – non dovrebbero essere usati in gravidanza e allattamento, dal momento che ci sono dimostrazioni del passaggio dei principi attivi attraverso la placenta e nel latte materno”.

9. Quali sono gli effetti collaterali?
Una dose eccessiva di Cannabis può causare uno stato depressivo o ansioso e può provocare attacchi di panico o psicosi. “Nella nostra esperienza gli effetti avversi non sono molto frequenti e sono generalmente lievi, tuttavia possono manifestarsi disturbi soprattutto a carico del sistema nervoso (disturbi dell’umore, stordimento, stato soporoso), allergie o reazioni gastrointestinali”, spiega Vannacci.

10. Può dare dipendenza?
“Come è noto, la cannabis stimola il sistema cerebrale di gratificazione, per cui il rischio che possa indurre un abuso è sempre presente”, spiega Vannacci. Tuttavia, se viene utilizzata con le modalità e le dosi previste, in genere non si verificano problemi. “Sicuramente – conclude l’esperto – i preparati a base di Cannabis sono controindicati in pazienti con disturbi psichiatrici e in individui con una storia pregressa di tossicodipendenza e/o abuso di sostanze psicotrope e/o alcol”.

Fonte: repubblica.it

Bellezza alla cannabis: boom in italia

Bellezza alla cannabis: boom in italia

L’impiego della canapa o meglio del cannabidiolo nel beauty è in piena espansione in tutto il mondo, dall’America all’Europa, Italia compresa. Al Canapa Expo 2019, la fiera internazionale dedicata al mondo canapa dal 22 al 24 novembre al Parco Esposizioni di Novegro a Milano, tra le centinaia di espositori e professionisti da tutta Europa molto è dedicato al settore cosmetica. Se alimenti e tessile sono già ampiamente conosciuti dal consumatore italiano, arrivano ora anche tantissimi prodotti biologici dedicati alla bellezza e alla cura del corpo. Innanzitutto le creme con cannabidiolo, un metabolita della cannabis sativa che procura effetti rilassanti, antiossidanti e antinfiammatori. Tra le varie proposte anche latte detergente, crema mani, lozioni per il corpo e saponi di vario tipo. Per contrastare le rughe c’è la crema di canapa al collagene, sempre con la presenza di cannabidiolo e olii di piante pregiate come albicocca, ginseng e camomilla. Il gel di canapa e aloe, invece, è realizzato con olio di semi di canapa ed è utilizzato anche come dopo sole o dopo la rasatura. Non manca l’olio inodore con polvere di semi di cannabis sativa, che usato come lubrificante intimo aiuta ad aumentare la circolazione sanguigna e il rilassamento. L’olio di canapa alla base di molte preparazioni è ricco di clorofilla, contiene elevate quantità di acidi grassi essenziali (Omega-3 e Omega-6). Lenitivo riequilibrante, è inoltre un olio ricco di vitamina E, che combatte i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento precoce e delle vitamine del gruppo B (in particolare B1, B2, B6).
L’offerta spazia anche allo scrub viso con olio di canapa bio, zucchero zaffiro naturale e pure essenze di arancio e lavanda, non mancano anche i sieri per capelli con olio di oliva, fitosteroli di crambe abyssinica ed estratti di sativa bio, per poi passare al sapone intimo decongestionante grazie alla presenza di CBD.
È stato dimostrato che questa molecola ha diverse proprietà terapeutiche, tra cui la capacità di rilassare il corpo. Sebbene agisca sul nostro organismo offrendo importanti benefici, il CBD non ha proprietà psicoattive come il suo parente stretto, il THC. Non bisogna quindi confondere l’azione di questi due cannabinoidi. La lavorazione 100% bio di questi prodotti garantisce una maggiore delicatezza sulla pelle dovuta proprio alla mancanza di derivati dal petrolio o altri componenti chimici come il tensioattivo sodium laureth sulfate, siliconi o altri potenziali allergeni.
Ci sono anche shampoo che detergono, idratano e nutrono senza ungere o appesantire, doccia schiuma indicati per pelli sensibili e per chi soffre d’irritazioni e arrossamenti, senza dimenticare profumi e deodoranti dai sentori più delicati ed esotici. L’ingrediente ben si sposa con la tendenza naturale e vegetale anche il packaging ne è conseguenza: molto spesso i contenitori hanno circa il 70% in meno di plastica rispetto alla maggior parte dei flaconi normalmente reperibili sul mercato. Nel rispetto della natura in molti casi è abolito anche il packaging secondario come astucci o scatolette.
Nel programma della fiera è previsto anche un workshop su canapa e cosmetica a cura di Farmacosmetica e del farmacista Dott. Marco Ternelli.

Fonte: ansa.it

Report FDA: ko della cannabis in borsa

Report FDA: ko della cannabis in borsa

Una delle industrie in più rapida crescita al mondo, quella della cannabis, subisce un altro duro colpo. Nel mirino il CBD, un cannabinoide, una sostanza chimica non psicoattiva derivata dalla canapa, declassificata come marijuana ai sensi della Farm Bill del 2018 e usata per scopi terapeutici e non solo. Tanti oggi i prodotti che contengono CBD, comprese tinture e lozioni, un mercato in crescita tanto che secondo la società di ricerche di mercato The Brightfield Group, l’industria della cannabis legale dovrebbe passare dai 5 miliardi di dollari nel 2019 a quasi 28 miliardi di dollari entro il 2023.

Il report della FDA che fa tremare l’industria della cannabis

Molte le aziende che stanno facendo la fortuna con questa sostanza subiscono un brutto colpo con ribassi consistenti ieri in Borsa. Questo perchè la Food and Drug Administration americana (FDA) ha pubblicato un aggiornamento per i consumatori che cita i potenziali rischi dell’uso di prodotti a base di CBD. Un report che inevitabilmente ha provocato un calo dei principali titoli legati alla marijuana. Nel dettaglio la FDA ha avvertito i consumatori che l’uso del CBD potrebbe causare danni al fegato e ha inviato lettere di avvertimento a 15 aziende per aver venduto illegalmente i prodotti CBD. “I consumatori dovrebbero essere consapevoli che la FDA ha ancora domande senza risposta circa la sicurezza e la qualità dei prodotti CBD”. “Siamo preoccupati che alcune persone pensino erroneamente che la miriade di prodotti CBD sul mercato, molti dei quali sono illegali, sono stati valutati dalla stessa FDA e la cui sicurezza sia stata testata, o che possano pensare che il CBD non può far male” così il vice commissario principale della FDA Amy Abernethy. “Ci sono ancora una serie di questioni riguardanti la sicurezza del CBD – comprese le segnalazioni di prodotti contenenti sostanze contaminanti, come pesticidi e metalli pesanti – e ci sono rischi reali che devono essere presi in considerazione” ha continuato Aernethy.
Secondo la Food and Drug Administration ci sono pochi dati riguardanti la sicurezza del CBD e questi dati indicano rischi reali che devono essere presi in considerazione prima di prendere CBD per qualsiasi motivo. L’agenzia parla in particolare di lesioni epatiche, interazioni farmacologiche e anche effetti negativi sulla salute riproduttiva maschile.

Tra le aziende che hanno ricevuto gli avvertimenti della FDA se ne citano alcune come Koi CBD LLC, Pink Collections Inc., Noli Oil, Infinite Product Company LLLP, Bella Rose Labs, Healthy Hemp Strategies LLC, Sabai Ventures Ltd., Daddy Burt LLC. Seppure non citate dalla FDA, l’avvertimento non ha fatto bene ai titoli di tre delle più grandi compagnie legate alla cannabis– Canopy Growth Corp, Aurora Cannabis e Tilray- che hanno registrato un calo di quasi il 3% oggi in borsa, mentre tre aziende focalizzate solo sul CBD – Web, Medical Marijuana, Inc. e CV Sciences di Charlotte – hanno registrato un calo dell’8%. Un portavoce della Tilray ha sostenuto che l’azienda accoglie con favore un maggior numero di indicazioni da parte della FDA e si attiene alle sue indicazioni. Da Medical Marijuana fanno intendere invece che non esistono prove che la “forma naturale” del CBD causi “effetti tossici sul fegato”, mentre un portavoce di CV Sciences ha espresso delusione per l’avvertimento della FDAche ha “un tono allarmistico inappropriato”.
Certo è che l’avvertimento è l’ultimo colpo ad un settore già in affanno come ha mostrato poco tempo fa la canadese Aurora Cannabis Inc. che ha registrato un calo del suo fatturato del 24%, pari a 75,3 milioni di dollari (56,8 milioni di dollari) rispetto ai 98,9 del trimestre precedente, rallentando i suoi piani di espansione in Canada e all’estero. A pesare sul calo del fatturato di Aurora gli ordini che sono rallentati considerevolmente in estate e da qui il produttore ha annunciato l’interruzione della costruzione del suo impianto Aurora Nordic 2 in Danimarca e il rinvio di un altro sito, Aurora Sun, in Alberta, Canada.

Fonte: finanzaonline.com

Cannabis in borsa: in fumo 30 miliardi

Cannabis in borsa: in fumo 30 miliardi

La scommessa sul business della cannabis legale è stato una delle grandi novità di questi anni. La liberalizzazione (sia a livello terapeutico sia a livello ricreativo) decisa in questi anni da diversi Stati negli Usa e poi la legalizzazione piena decisa alla fine dello scorso anno dal Canada ha spinto investitori grandi e piccoli in tutto il mondo a scommettere sulle cosiddette “cannastocks”, le società quotate che operano nel settore della cannabis legale che in questi anni hanno si sono quotate in Borsa.

Il problema è che la cannabis mania si è rivelata essere una bolla speculativa, cresciuta a dismisura per tutto il corso del 2018 con guadagni a tripla cifra in vista della legalizzazione varata dal Canada lo scorso anno, e deflagrata dopo che la decisione è stata ufficializzata. Si è verificato in altri termini quello che gli investitori specializzati in gergo definiscono “buy the rumor sell the news” (compra sulle indiscrezioni e vendi quando la notizia è ufficiale). Il mercato cioè ha comprato sull’onda dell’euforia della legalizzazione per poi invertire nettamente la rotta quando il “market mover” si è concretizzato.

Il problema è che, trattandosi di una bolla speculativa, l’inversione di rotta messa in atto dal mercato è stata repentina e molto dolorosa. Dai massimi toccati il 19 settembre 2018 l’indice delle “cannastocks” che Il Sole 24Ore ha elaborato usando i prezzi di mercato delle 50 maggiori società del settore ha perso oltre il 66 per cento. In termini di capitalizzazione sono andati in ”fumo” (è proprio il caso di dirlo) quasi 30 miliardi di dollari di capitalizzazione. Ci sono titoli, come Tilray (azienda canadese di cannabis terapeutica quotata al Nasdaq) che a settembre dello scorso anno capitalizzavano quasi 20 miliardi di dollari e, dopo che il titolo ha perso più del 90%, oggi valgono poco più di due. Un altro titolo molto noto, quello della canadese Aurora Cannabis, è passata dal valere oltre otto miliardi di dollari agli attuali 2,7.

Fonte: ilsole24ore.com

Cannabis, i pazienti: ora non possiamo più aspettare, coltiviamo noi

Cannabis, i pazienti: ora non possiamo più aspettare, coltiviamo noi

Questo è l’urlo della disperazione di chi è arrivato al punto di non sopportazione. È l’epilogo di chi le ha provate tutte e, affetto da patologie spesso altamente invalidanti e sentendosi ormai abbandonato dalle istituzioni, è giunto ad una semplice conclusione: se lo Stato non riesce a garantirmi di curarmi con la cannabis, la coltiviamo in autonomia, perché senza non possiamo stare.

L’extrema ratio, dettata dalla consapevolezza che nulla cambierà a livello politico e dal fatto che chi ha provato i benefici della cannabis sulla propria patologia, non vuole farne a meno solo perché lo stato non è in grado di produrne abbastanza o di garantire ai pazienti che sia gratuita, per tutti.

A livello di fornitura di cannabis infatti nel nostro paese continua a verificarsi ciclicamente la carenza del medicinale, mentre dal punto di vista della dispensazione la situazione è difforme e cambia a seconda della regione di residenza: ce ne sono alcune che riconoscono la gratuità della cannabis in generale, alcune che la prevedono per alcune patologie, ed altre, come la Sicilia, in cui non esiste una legge regionale che lo preveda.

“Noi come associazione – racconta Alessandro Raudino, fondatore dell’associazione Cannabis Cura Sicilia Social Club -, abbiamo intenzione di iniziare una disobbedienza civile collettiva per coltivare cannabis a scopo terapeutico per i malati, in modo da garantire loro la continuità terapeutica, cosa che ad oggi non accade ed è il primo problema per i pazienti. Come associazione porteremo avanti la coltivazione ma la responsabilità sarà condivisa tra i soci e ogni pianta avrà il nome, cognome e codice fiscale dei pazienti, in modo che, se dovessimo avere problemi giudiziari, saremo coinvolti in decine di malati”.

Il tutto nasce da un’esigenza di fondo, il cosiddetto stato di necessità previsto dall’articolo 54 del codice penale: “Significa che siamo costretti ad essere dei disobbedienti, dei criminali colpevoli di coltivare cannabis senza essere autorizzati, perché lo Stato e le Regioni ignorano da anni il nostro grido d’aiuto, dicendo che non ci sono soldi per fare in modo che ci venga garantita la cura”.

I motivi della disobbedienza civile

“Non è menefreghismo né un attacco alle istituzioni – continua Alessandro – tutt’altro, è una questione di necessità, visto che io, ad oggi, dovrei spendere circa 1500 euro al mese per acquistare in farmacia la cannabis di cui avrei bisogno. Mentre coltivandola, dopo aver trovato negli anni le genetiche che si adattano alla mia patologia, spendo circa 100 euro al mese”. La disobbedienza verrà lanciata ufficialmente il prossimo 30 novembre, in occasione di un evento ospitato proprio dall’associazione a Siracusa, a cui parteciperanno medici, ricercatori e rappresentati delle istituzioni locali. “Non solo – puntualizza -, manderemo anche un comunicato a prefetto e forze dell’ordine”.

Non è la prima volta che accade: da anni l’onorevole Rita Bernardini porta avanti la sua disobbedienza civile, coltivando cannabis che poi veniva puntualmente donata ai pazienti di Lapiantiamo, altra associazione con sede in Puglia. La differenza, in questo caso, è che i pazienti stessi vogliono mettersi in gioco in prima persona.

“Azioni di disobbedienza come queste – sottolinea a Fanpage.it la già presidente dei Radicali Barbara Bonvicini -, sono doppiamente coraggiose perché generano un duplice paradosso: malati costretti a ‘diventare criminali’ da un lato per sopperire a una grave inadempienza dello Stato che dovrebbe garantire il diritto alla salute e alla cura, dall’altro per evitare di arricchire la vera criminalità organizzata acquistando cannabis dal mercato nero”.

Il tema dell’autoproduzione di cannabis a scopo terapeutico

Quello dell’autoproduzione di cannabis a scopo terapeutico è un tema molto dibattuto. La cannabis medica oggi viene prodotta seguendo gli standard farmaceutici dalla piantina al prodotto finale, per fare in modo che siano ridotti al minimo muffe e sostanze inquinanti e per fare un modo che l’infiorescenza finale sia il più possibile standardizzata, contenendo quindi un quantitativo di principio uguale o simile tra un lotto e l’altro. Se lo stato fosse in grado di garantire a tutti l’accesso alla cannabis in modo gratuito il problema non si porrebbe nemmeno, ma ciò ad oggi non accade e si moltiplicano le storie di chi si vede costretto ad abbandonare questo tipo di cure perché ad esempio non ha i soldi per proseguire, così come si moltiplicano le persone che scelgono di disobbedire, rischiando l’arresto, o quelle che rinunciano a proseguire la terapia.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito alla storia di Walter, che coltiva cannabis perché quella che gli viene dispensata non basta più e le continue richieste di aumentargli il dosaggio negli anni sono rimaste inascoltate. O quella di Grace Spinazzi, che, non potendo accedere alla dispensazione gratuita, visti i costi della terapia, ha paura di non riuscire ad assicurare le cure a sua figlia. Come nel caso dei pazienti siciliani, si tratta di persone “costrette” a disobbedire per potersi garantire una qualità dignitosa di vita, dopo aver provato decine di farmaci che non avevano cambiato la loro situazione. Provate voi a mettervi nei panni di un malato, con una patologia invalidante, che scopre una sostanza che gli permette di stare bene e avere una vita dignitosa, e sentirsi dire che non può averla o perché lo stato non ne produce abbastanza o perché in alcune regioni italiane non viene rimborsata. C’è in ballo un principio sacro che è il diritto alla salute e non è una condizione che può essere garantita solo a chi ha molti soldi da spendere.

Anche perché Alessandro gli effetti della cannabis sulla sclerosi multipla, dalla quale è affetto da 15 anni, li ha visti su se stesso. “All’inizio i medici avevano preferito non farmi fare nessuna terapia, per capire l’evoluzione della patologia, dopo un aggravamento hanno iniziato ad usare il protocollo classico, con una puntura al giorno del farmaco chemioterapico Copaxone, per due anni. Dopo vari effetti collaterali, tra cui un tumore al colon oltre a depressione, herpes simplex ovunque, rigonfiamento del fegato e una situazione disastrata, ho deciso di smettere. Anche grazie al supporto della mia compagna, ho iniziato a cambiare alimentazione, stile di vita e ho iniziato ad usare la cannabis”. Oggi, dopo 6 anni in cui non usa farmaci se non la cannabis, “mi sono operato per il tumore e non è più tornato. Ma l’ultima bella notizia che ho ricevuto è arrivata dalla risonanza magnetica che ho eseguito da poco, come faccio ogni anno. A ottobre è risultato che la placca all’encefalo, cosa più unica che rara, è regredita, quando invece mi avevano detto che sarebbe sempre progredita. Dopo 15 anni di patologia i medici che ho consultato non sanno spiegare il motivo”.

Fonte: fanpage.it

Cannabis light, sull’”efficacia drogante” la Cassazione apre la porta al caos

Cannabis light, sull’”efficacia drogante” la Cassazione apre la porta al caos

“Efficacia drogante”. La seconda sentenza firmata dalla Corte di Cassazione sulla cannabis light, dopo quella che lo scorso 30 maggio di fatto vietava il commercio di derivati di canapa, gira attorno a un’espressione che appare quanto meno poco scientifica.  la nuova sentenza, la numero 46236, stabilisce che chi vende derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, commette reato a meno che non si riesca a dimostrare che tali sostanze siano prive di efficacia drogante.

Una normativa parziale

Come riporta Damiano Aliprandi su Il Dubbio, la sentenza  arriva dopo il ricorso di alcuni ragazzi proprietari dei cannabis shop ai quali la magistratura ha sequestrato i prodotti erba light per aver istigato all’uso di sostanze stupefacenti, come i prodotti derivati dalle infiorescenze di canapa sativa L, “in violazione di quanto stabilito dalla legge n. 242 del 2016, e per aver svolto attività di proselitismo per l’uso delle predette sostanze, detenendole allo scopo di cederle ad altri, mediante l’offerta in vendita presso i loro esercizi commerciali”. Insomma, i negozianti trattati come spacciatori nonostante i loro prodotti rientrino entro lo 0,6% di Thc (il principio stupefacente, per semplificare) ammesso dalla legge per i produttori di cannabis. Eppure, secondo la Cassazione, il sequestro è motivato dal fatto che i valori di tolleranza di THC fino a 0,6% indicati nella legge n. 242 del 2016 si riferiscono solo al principio attivo presente sulle piante in coltivazione, non al prodotto oggetto di commercio. E poi c’è il riferimento all’Efficacia drogante che il venditore dovrebbe valutare prima di mettere in commercio un prodotto a base di cannabis? Ma quali sono  i parametri? Questo i giudici non lo dicono.

Della Vedova: pronto emendamento

Intanto, il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, uno dei firmatari della proposta di legge trasversale per la legalizzazione della cannabis, poi affossata in parlamento, ritorno sull’argomento: “Vogliamo ridare certezze, dicendo che tutto quello che riguarda la cannabis sativa, che non è la indica da cui si ricavano hashish o marijuana, è legale ovviamente nell’esercizio imprenditoriale rispettoso di tutte le altre normative”. Della Vedova ha parlato della presentazione di un “emendamento in Senato che ci auguriamo possa essere discusso nella prima occasione utile per modificare la normativa laddove, introducendo limiti o ancora, dopo alcune sentenze che si sono riferite all’effetto drogante, ha determinato un’incertezza che sta penalizzando fortemente centinaia di imprenditori”.

Fonte: ilsalvagente.it