Quando si parla di semi di cannabis occorre innanzitutto fare delle distinzioni, per poter poi comprendere appieno i regimi normativi e gli orientamenti giurisprudenziali che si applicano a ogni categoria individuata. In primo luogo, semi di marijuana e di canapa sono due tipi diversi: se in entrambi i casi i semi contengono al loro interno solo CBD o cannabidiolo, quelli di canapa danno vita a piante con un tasso ridotto di THC (sigla che sta per tetraidrocannabinolo), mentre si possono acquistare online tra i migliori semi di cannabis del primo tipo, quelli da cui si sviluppano piante con contenuto di THC.
Dal momento in cui le due le varietà di semi sono ricchi, insieme a importanti nutrienti come proteine, sali minerali e acidi grassi polinsaturi, di CBD, il loro commercio è permesso senza limitazioni per utilizzo a fini alimentari.
Premesso quindi che la compravendita di semi di cannabis è legale in ogni caso, la successiva distinzione riguarda l’uso che viene fatto delle sementi. Come abbiamo visto quei tipi che rispettano il tetto massimo di tetraidrocannabinolo imposto dal legislatore possono arricchire la nostra dieta, ma gli altri?
Semi con THC
Gli altri possono, a determinate condizioni, essere piantati per la coltivazione di piante di cannabis. Questa possibilità è stata accordata dapprima dal Regolamento 2013/1307/UE per i casi in cui la coltivazione sia a uso industriale e che le infiorescenze delle piante di cannabis della coltura abbiano un livello di THC non superiore a 0,2%. Il Regolamento dell’anno successivo (2014/639/UE) ha integrato la disciplina introducendo un elenco delle specie di piante ammesse per tale pratica. Il legislatore italiano ha recepito e ampliato tali indicazioni, in quanto ha stabilito una soglia di tollerabilità per la coltivazione a uso industriale delle piante di marijuana, la cui concentrazione di THC nei fiori non superi lo 0,6%.
Come si può notare, era rimasto una grande lacuna legislativa: nessuna indicazione era fornita in relazione alla coltivazione a uso domestico di piante di cannabis, con riguardo a qualsiasi concentrazione di tetraidrocannabinolo. La questione è stata dunque affrontata dalla giurisprudenza di Cassazione, la quale, investita della questione, ha in prima battuta vietato in maniera tassativa la suddetta pratica. La ragione alla base del divieto risiedeva nel fatto che permettendo la coltivazione, poteva esserci il rischio che il breeder utilizzasse il raccolto per la vendita di sostanze stupefacenti, integrando il reato di spaccio e, di conseguenze, ledendo il diritto alla salute e la sicurezza pubblica.
La Corte di Cassazione e la coltivazione ad uso personale
Una visione siffatta, però, andava a ricomprendere anche quei casi in cui, da indizi evidenti, era chiaro che la coltivazione era indirizzata ad un uso meramente privato. Per questo motivo, con sentenza del 19 dicembre 2019, la Cassazione si è pronunciata in maniera parzialmente difforme, in quanto ha riconosciuto la liceità della condotta del coltivatore di piante di cannabis, quando da determinati elementi (esplicitati dalla stessa Corte) risulti chiaro che il soggetto non utilizzerà le infiorescenze per la vendita a terzi. L’assoluta novità sta quindi nel fatto che non si punisce il breeder per la coltivazione in sé e per sé, ma solo nel caso in cui si dimostri che il raccolto sia poi stato effettivamente utilizzato (o intenda essere utilizzato) per la vendita e l’arricchimento personale.
Questa decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite si inserisce in maniera più armonica nel quadro normativo italiano, in quanto il nostro Testo Unico in materia di sostanze stupefacenti già prevede una disciplina di favore per chi detiene cannabis in quantità che facciano presumere un utilizzo personale della sostanza. Inoltre, apre a uno scenario inedito rispetto al generale e tradizionale atteggiamento dei governi italiani in materia di marijuana, ritenendo lecita la condotta del breeder che rivolga la sua attività solamente a un utilizzo privato.
Gli indizi che lasciano presumere l’uso personale riguardano innanzitutto la quantità di piante e quindi del raccolto che da esse si possa ottenere: minime quantità, infatti, non sembrano poter permettere al breeder di vedere il prodotto del suo lavoro; allo stesso modo rileva l’attrezzatura e l’organizzazione della coltivazione, poiché la Corte invita a distinguere i casi in cui vengano strumenti semplici, e di natura chiaramente non professionale nonché metodi domestici, da un’organizzazione e da mezzi molto più avanzati. Tuttavia, come elemento di chiusura, riconosce la colpevolezza del coltivatore se, nonostante all’apparenza la coltivazione domestica sembri rivolta a un uso personale, altri indizi dimostrino chiaramente che, in realtà, il fine sia differente. Questa circostanza, però, dovrà essere provata dall’accusa, in quanto in mancanza di fatti certi che indichino il contrario, la condotta del breeder sarà da considerarsi lecita.
Semi di cannabis: istruzioni per l’uso
Da quanto detto sopra si capisce che molti sono gli utilizzi dei semi di cannabis, a seconda della loro natura e della quantità di THC delle piante che da essi germogliano.
I semi di marijuana vengono venduti su molti siti online, tra i quali c’è anche Sensoryseeds.it e possono essere utilizzati come semi da collezione, per la conservazione della genetica della pianta. Si prospetta però un’apertura verso la possibilità della coltivazione domestica a uso personale a seguito della citata sentenza della Corte di Cassazione. Sarà probabilmente necessario attendere la risposta legislativa per sciogliere ogni dubbio al riguardo.
Diverso è il discorso per quei semi che sì danno vita a piante che contengono THC, ma in misura ridotta. In Italia quelli con concentrazione di tetraidrocannabidiolo non superiore a 0,6% sono utilizzati per la coltivazione ad uso industriale, mentre con il limite dello 0,2% largo uso viene fatto dei semi di canapa a fini alimentari.
Non si può nascondere un certo compiacimento per la pronuncia dei giudici, che hanno fatto cadere il tabù che aleggia da decenni intorno alla marijuana, in ragione del fatto che un numero sempre maggiore di studi ha riconosciuto le proprietà benefiche di certe sostanze contenute nelle infiorescenze e anche perché il commercio di cannabis legale sta acquisendo un’importanza non più trascurabile per l’economia del nostro paese. C’è da sperare allora che questa sentenza sia solo la prima apertura delle tante che seguiranno.
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