«Vi chiedo scusa». Esordisce così, in un post su Facebook, il senatore Cinque Stelle Matteo Mantero. E le scuse sono rivolte a quelle 3mila aziende, tra produttori e distributori di cannabis light, rimaste in un limbo normativo dopo la sentenza della Cassazione di luglio che ha vietato la vendita di resine, olio e infiorescenze. Mantero era primo firmatario di due emendamenti alla legge di bilancio che avrebbero messo un po’ di ordine nel settore, dopo mesi di promesse e incontri con i parlamentari grillini. E invece ecco la sorpresa: gli emendamenti sono stati tutti ritirati in gran segreto nella seduta di sabato scorso in commissione Bilancio, senza che lo stesso Mantero fosse presente, denuncia lui. «Vi chiedo scusa per la maggioranza di cui faccio parte», dice il senatore grillino, «perché mentre il resto del mondo veleggia sulla rotta della legalizzazione della “marijuana” noi abbiamo paura di affrontare il tema della canapa industriale». E il motivo che ha spinto la maggioranza di governo a stralciare gli emendamenti senza neanche discuterli, come ammettono gli stessi parlamentari, è solo uno: la paura che, aprendo l’argomento cannabis light, Matteo Salvini e i colleghi sovranisti potessero cavalcarlo dalla loro parte sollevando l’ennesimo polverone politico. E così, meglio il silenzio. Mentre 3mila aziende e mille negozi sparsi in tutta Italia da mesi erano col fiato sospeso in attesa di tornare in attività, senza rischiare sequestri e denunce, ormai con l’acqua alla gola. E se le attività continuano a essere bloccate, il pericolo ora è la perdita di 12mila posti di lavoro. Tanti quanto l’Ilva e tutto il suo indotto, per intenderci.

«Nel corso degli incontri, i parlamentari Cinque Stelle ci avevano assicurato che si sarebbero impegnati per il rilancio dell’intero settore», denuncia Luca Fiorentino, 24enne fondatore e ceo di Cannabidiol Distribution, azienda torinese, tra le più grandi in Italia, che per prima ha inserito i prodotti a base di cannabis light nella grande distribuzione. Aprendo anche due negozi nel centro di Torino, che dopo svariati blitz e sequestri sono stati costretti a chiudere. Nel 2017 Cannabidiol contava 12 dipendenti, oggi si sono ridotti a quattro. E le aziende agricole che per loro producevano la canapa da mesi hanno già fermato le coltivazioni e chiuso baracca.

Dal 2016 in poi, con la “legge sulla canapa” voluta dagli stessi grillini, che ha legalizzato i prodotti con thc al di sotto della soglia dello 0,6%, il settore in Italia è esploso. Molti giovani, come Luca, hanno investito aprendo negozi e società. E soprattutto tante aziende agricole del Sud Italia si sono buttate a capofitto nella coltivazione della canapa, riuscendo a ottenere margini di guadagno che, rispetto ad esempio al pomodoro, possono essere 19 volte più alti. Un mercato che tra alimentari, cosmetica e fiori, valeva oltre 2 miliardi.

Dalla sentenza della Cassazione in poi ad oggi, 2.200 posti di lavoro tra quelli diretti e l’indotto sono già saltati. La decisione della Corte suprema, in realtà, passava la palla al Parlamento per regolamentare il settore una volta per tutte. Ma le camere hanno ignorato la sollecitazione. Il problema sta nella legge 242 del 2016, proposta dai Cinque Stelle, che venne approvata dopo che dal testo iniziale fu eliminato il comma che normava il mercato dei fiori di canapa, parlando di produzione ma non di commercializzazione. Da lì, i negozi e le coltivazioni di cannabis light si sono diffuse in tutta Italia in un vuoto normativo che, dopo la sentenza restrittiva della Cassazione, si è poi spostato nelle aule dei tribunali. Dove, come in un cortocircuito legislativo, da Milano a Genova i giudici si stanno esprimendo ormai a favore dei dissequestri, restituendo i prodotti ai negozianti.

Intanto, due leggi di modifica alla 242, una depositata dallo stesso Mantero e un’altra da Più Europa, alla fine non sono più state neanche discusse. Con Matteo Salvini che, da ministro dell’Interno, parla di «lotta alla droga» e annunciava: «Chiuderò tutti i negozi». Mentre in clima di incertezza normativa e di “caccia alle streghe”, il 90% dei tabaccai ha smesso di acquistare la cannabis light dai produttori per paura di incappare in procedimenti penali. E così il mercato si è bloccato.

Dopo la formazione del governo giallorosso, alcuni rappresentanti delle aziende italiane produttrici di canapa – che avevano provato anche a raccogliersi intorno a un’associazione di categoria – si sono fatti sentire con tutte le forze politiche della nuova maggioranza. Hanno contattato il ministro dello Sviluppo economico, il 5S Stefano Patuanelli; e poi hanno incontrato pure il Cinque Stelle Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura della Camera. Ma l’atteggiamento, dopo la batosta elettorale dei 5S in Umbria, è cambiato. Con Salvini all’attacco, i grillini hanno preferito non stare più in prima linea su un argomento scottante come la cannabis light. Gallinella così ha smesso di rispondere ad aziende e associazioni del settore. E alla fine si è limitato ad approvare una risoluzione vaga e fumosa che – secondo la stessa Federcanapa – non fa altro che peggiorare la situazione attuale.

Finché, con i lavori della manovra in corso, Mantero ha presentato due emendamenti in cui si prevedeva anche una accisa di 10 centesimi per grammo sul prodotto. Ma già tra i Cinque Stelle erano emersi i primi malumori a farsi promotori di una iniziativa simile, per paura che l’ex alleato leghista potesse approfittarne per tonare sull’argomento e attaccarli.

Nei mesi scorsi, poi, i rappresentanti delle aziende della cannabis light hanno preso carta e penna e hanno scritto a Luigi Di Maio, a Nicola Zingaretti e pure al segretario della Cgil Maurizio Landini. Senza ricevere risposta da nessuno. Alla fine, si sono spostati pure più a sinistra, approfittando del fatto che il ministro della Salute, Roberto Speranza, fosse un rappresentante di LeU. Ma la risposta, anche qui, è stata sempre la stessa: meglio evitare per paura di fornire argomenti di propaganda a Salvini. E alla fine è arrivato pure il ritiro degli emendamenti.

E tutto il settore, che in questi mesi era rimasto appeso al Movimento Cinque Stelle, si è visto presentare l’amara sorpresa. Mantero promette già che i grillini tenteranno di ripresentare l’emendamento alla Camera. Ma sotto il suo post in poche ore si sono raccolti gli sfoghi di chi si è indebitato ed è stato costretto a chiudere negozi e a licenziare dipendenti e che sperava in una regolamentazione. «Con questa storia, vi state giocando una barcata di voti», scrive qualcuno. «I commercianti hanno aperto le loro attività in base a una legge, chiedendo prestiti e indebitandosi», dice Luca Fiorentino, «e ora invece veniamo trattati come spacciatori di droga».

Fonte: linkiesta.it