Cannabis in borsa: in fumo 30 miliardi

Cannabis in borsa: in fumo 30 miliardi

La scommessa sul business della cannabis legale è stato una delle grandi novità di questi anni. La liberalizzazione (sia a livello terapeutico sia a livello ricreativo) decisa in questi anni da diversi Stati negli Usa e poi la legalizzazione piena decisa alla fine dello scorso anno dal Canada ha spinto investitori grandi e piccoli in tutto il mondo a scommettere sulle cosiddette “cannastocks”, le società quotate che operano nel settore della cannabis legale che in questi anni hanno si sono quotate in Borsa.

Il problema è che la cannabis mania si è rivelata essere una bolla speculativa, cresciuta a dismisura per tutto il corso del 2018 con guadagni a tripla cifra in vista della legalizzazione varata dal Canada lo scorso anno, e deflagrata dopo che la decisione è stata ufficializzata. Si è verificato in altri termini quello che gli investitori specializzati in gergo definiscono “buy the rumor sell the news” (compra sulle indiscrezioni e vendi quando la notizia è ufficiale). Il mercato cioè ha comprato sull’onda dell’euforia della legalizzazione per poi invertire nettamente la rotta quando il “market mover” si è concretizzato.

Il problema è che, trattandosi di una bolla speculativa, l’inversione di rotta messa in atto dal mercato è stata repentina e molto dolorosa. Dai massimi toccati il 19 settembre 2018 l’indice delle “cannastocks” che Il Sole 24Ore ha elaborato usando i prezzi di mercato delle 50 maggiori società del settore ha perso oltre il 66 per cento. In termini di capitalizzazione sono andati in ”fumo” (è proprio il caso di dirlo) quasi 30 miliardi di dollari di capitalizzazione. Ci sono titoli, come Tilray (azienda canadese di cannabis terapeutica quotata al Nasdaq) che a settembre dello scorso anno capitalizzavano quasi 20 miliardi di dollari e, dopo che il titolo ha perso più del 90%, oggi valgono poco più di due. Un altro titolo molto noto, quello della canadese Aurora Cannabis, è passata dal valere oltre otto miliardi di dollari agli attuali 2,7.

Fonte: ilsole24ore.com

Cannabis, i pazienti: ora non possiamo più aspettare, coltiviamo noi

Cannabis, i pazienti: ora non possiamo più aspettare, coltiviamo noi

Questo è l’urlo della disperazione di chi è arrivato al punto di non sopportazione. È l’epilogo di chi le ha provate tutte e, affetto da patologie spesso altamente invalidanti e sentendosi ormai abbandonato dalle istituzioni, è giunto ad una semplice conclusione: se lo Stato non riesce a garantirmi di curarmi con la cannabis, la coltiviamo in autonomia, perché senza non possiamo stare.

L’extrema ratio, dettata dalla consapevolezza che nulla cambierà a livello politico e dal fatto che chi ha provato i benefici della cannabis sulla propria patologia, non vuole farne a meno solo perché lo stato non è in grado di produrne abbastanza o di garantire ai pazienti che sia gratuita, per tutti.

A livello di fornitura di cannabis infatti nel nostro paese continua a verificarsi ciclicamente la carenza del medicinale, mentre dal punto di vista della dispensazione la situazione è difforme e cambia a seconda della regione di residenza: ce ne sono alcune che riconoscono la gratuità della cannabis in generale, alcune che la prevedono per alcune patologie, ed altre, come la Sicilia, in cui non esiste una legge regionale che lo preveda.

“Noi come associazione – racconta Alessandro Raudino, fondatore dell’associazione Cannabis Cura Sicilia Social Club -, abbiamo intenzione di iniziare una disobbedienza civile collettiva per coltivare cannabis a scopo terapeutico per i malati, in modo da garantire loro la continuità terapeutica, cosa che ad oggi non accade ed è il primo problema per i pazienti. Come associazione porteremo avanti la coltivazione ma la responsabilità sarà condivisa tra i soci e ogni pianta avrà il nome, cognome e codice fiscale dei pazienti, in modo che, se dovessimo avere problemi giudiziari, saremo coinvolti in decine di malati”.

Il tutto nasce da un’esigenza di fondo, il cosiddetto stato di necessità previsto dall’articolo 54 del codice penale: “Significa che siamo costretti ad essere dei disobbedienti, dei criminali colpevoli di coltivare cannabis senza essere autorizzati, perché lo Stato e le Regioni ignorano da anni il nostro grido d’aiuto, dicendo che non ci sono soldi per fare in modo che ci venga garantita la cura”.

I motivi della disobbedienza civile

“Non è menefreghismo né un attacco alle istituzioni – continua Alessandro – tutt’altro, è una questione di necessità, visto che io, ad oggi, dovrei spendere circa 1500 euro al mese per acquistare in farmacia la cannabis di cui avrei bisogno. Mentre coltivandola, dopo aver trovato negli anni le genetiche che si adattano alla mia patologia, spendo circa 100 euro al mese”. La disobbedienza verrà lanciata ufficialmente il prossimo 30 novembre, in occasione di un evento ospitato proprio dall’associazione a Siracusa, a cui parteciperanno medici, ricercatori e rappresentati delle istituzioni locali. “Non solo – puntualizza -, manderemo anche un comunicato a prefetto e forze dell’ordine”.

Non è la prima volta che accade: da anni l’onorevole Rita Bernardini porta avanti la sua disobbedienza civile, coltivando cannabis che poi veniva puntualmente donata ai pazienti di Lapiantiamo, altra associazione con sede in Puglia. La differenza, in questo caso, è che i pazienti stessi vogliono mettersi in gioco in prima persona.

“Azioni di disobbedienza come queste – sottolinea a Fanpage.it la già presidente dei Radicali Barbara Bonvicini -, sono doppiamente coraggiose perché generano un duplice paradosso: malati costretti a ‘diventare criminali’ da un lato per sopperire a una grave inadempienza dello Stato che dovrebbe garantire il diritto alla salute e alla cura, dall’altro per evitare di arricchire la vera criminalità organizzata acquistando cannabis dal mercato nero”.

Il tema dell’autoproduzione di cannabis a scopo terapeutico

Quello dell’autoproduzione di cannabis a scopo terapeutico è un tema molto dibattuto. La cannabis medica oggi viene prodotta seguendo gli standard farmaceutici dalla piantina al prodotto finale, per fare in modo che siano ridotti al minimo muffe e sostanze inquinanti e per fare un modo che l’infiorescenza finale sia il più possibile standardizzata, contenendo quindi un quantitativo di principio uguale o simile tra un lotto e l’altro. Se lo stato fosse in grado di garantire a tutti l’accesso alla cannabis in modo gratuito il problema non si porrebbe nemmeno, ma ciò ad oggi non accade e si moltiplicano le storie di chi si vede costretto ad abbandonare questo tipo di cure perché ad esempio non ha i soldi per proseguire, così come si moltiplicano le persone che scelgono di disobbedire, rischiando l’arresto, o quelle che rinunciano a proseguire la terapia.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito alla storia di Walter, che coltiva cannabis perché quella che gli viene dispensata non basta più e le continue richieste di aumentargli il dosaggio negli anni sono rimaste inascoltate. O quella di Grace Spinazzi, che, non potendo accedere alla dispensazione gratuita, visti i costi della terapia, ha paura di non riuscire ad assicurare le cure a sua figlia. Come nel caso dei pazienti siciliani, si tratta di persone “costrette” a disobbedire per potersi garantire una qualità dignitosa di vita, dopo aver provato decine di farmaci che non avevano cambiato la loro situazione. Provate voi a mettervi nei panni di un malato, con una patologia invalidante, che scopre una sostanza che gli permette di stare bene e avere una vita dignitosa, e sentirsi dire che non può averla o perché lo stato non ne produce abbastanza o perché in alcune regioni italiane non viene rimborsata. C’è in ballo un principio sacro che è il diritto alla salute e non è una condizione che può essere garantita solo a chi ha molti soldi da spendere.

Anche perché Alessandro gli effetti della cannabis sulla sclerosi multipla, dalla quale è affetto da 15 anni, li ha visti su se stesso. “All’inizio i medici avevano preferito non farmi fare nessuna terapia, per capire l’evoluzione della patologia, dopo un aggravamento hanno iniziato ad usare il protocollo classico, con una puntura al giorno del farmaco chemioterapico Copaxone, per due anni. Dopo vari effetti collaterali, tra cui un tumore al colon oltre a depressione, herpes simplex ovunque, rigonfiamento del fegato e una situazione disastrata, ho deciso di smettere. Anche grazie al supporto della mia compagna, ho iniziato a cambiare alimentazione, stile di vita e ho iniziato ad usare la cannabis”. Oggi, dopo 6 anni in cui non usa farmaci se non la cannabis, “mi sono operato per il tumore e non è più tornato. Ma l’ultima bella notizia che ho ricevuto è arrivata dalla risonanza magnetica che ho eseguito da poco, come faccio ogni anno. A ottobre è risultato che la placca all’encefalo, cosa più unica che rara, è regredita, quando invece mi avevano detto che sarebbe sempre progredita. Dopo 15 anni di patologia i medici che ho consultato non sanno spiegare il motivo”.

Fonte: fanpage.it

Cannabis light, sull’”efficacia drogante” la Cassazione apre la porta al caos

Cannabis light, sull’”efficacia drogante” la Cassazione apre la porta al caos

“Efficacia drogante”. La seconda sentenza firmata dalla Corte di Cassazione sulla cannabis light, dopo quella che lo scorso 30 maggio di fatto vietava il commercio di derivati di canapa, gira attorno a un’espressione che appare quanto meno poco scientifica.  la nuova sentenza, la numero 46236, stabilisce che chi vende derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, commette reato a meno che non si riesca a dimostrare che tali sostanze siano prive di efficacia drogante.

Una normativa parziale

Come riporta Damiano Aliprandi su Il Dubbio, la sentenza  arriva dopo il ricorso di alcuni ragazzi proprietari dei cannabis shop ai quali la magistratura ha sequestrato i prodotti erba light per aver istigato all’uso di sostanze stupefacenti, come i prodotti derivati dalle infiorescenze di canapa sativa L, “in violazione di quanto stabilito dalla legge n. 242 del 2016, e per aver svolto attività di proselitismo per l’uso delle predette sostanze, detenendole allo scopo di cederle ad altri, mediante l’offerta in vendita presso i loro esercizi commerciali”. Insomma, i negozianti trattati come spacciatori nonostante i loro prodotti rientrino entro lo 0,6% di Thc (il principio stupefacente, per semplificare) ammesso dalla legge per i produttori di cannabis. Eppure, secondo la Cassazione, il sequestro è motivato dal fatto che i valori di tolleranza di THC fino a 0,6% indicati nella legge n. 242 del 2016 si riferiscono solo al principio attivo presente sulle piante in coltivazione, non al prodotto oggetto di commercio. E poi c’è il riferimento all’Efficacia drogante che il venditore dovrebbe valutare prima di mettere in commercio un prodotto a base di cannabis? Ma quali sono  i parametri? Questo i giudici non lo dicono.

Della Vedova: pronto emendamento

Intanto, il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, uno dei firmatari della proposta di legge trasversale per la legalizzazione della cannabis, poi affossata in parlamento, ritorno sull’argomento: “Vogliamo ridare certezze, dicendo che tutto quello che riguarda la cannabis sativa, che non è la indica da cui si ricavano hashish o marijuana, è legale ovviamente nell’esercizio imprenditoriale rispettoso di tutte le altre normative”. Della Vedova ha parlato della presentazione di un “emendamento in Senato che ci auguriamo possa essere discusso nella prima occasione utile per modificare la normativa laddove, introducendo limiti o ancora, dopo alcune sentenze che si sono riferite all’effetto drogante, ha determinato un’incertezza che sta penalizzando fortemente centinaia di imprenditori”.

Fonte: ilsalvagente.it

La pisana: serra indoor di cannabis nel salone

La pisana: serra indoor di cannabis nel salone

Una serra illegale allestita nel salone di casa. E’ quanto hanno scoperto i carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia Roma Eur nell’abitazione di un 23enne romano, finito in manette con l’accusa di detenzione e coltivazione di sostanze stupefacenti.

I militari tenevano d’occhio il giovane da qualche tempo e, ieri pomeriggio, quando è rientrato nella sua abitazione, in via Mario de Renzi, lo hanno fermato per un controllo, eseguendo anche una perquisizione domiciliare.

Gli accertamenti hanno dato esito positivo, con il sequestro di 3 piante di cannabis coltivate in una serra indoor, completa di sistema di ventilazione e illuminazione, di numerosi semi della stessa sostanza e di materiale vario per la coltivazione.

Il giovane coltivatore è stato sottoposto agli arresti domiciliari, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

Fonte: terzobinario.it

Porto Azzurro: il sindaco Papi mette al bando la cannabis light

Porto Azzurro: il sindaco Papi mette al bando la cannabis light

Ora è ufficiale, Porto Azzurro dice no alla coltivazione e commercializzazione della cannabis e derivati su tutto il territorio comunale. L’ordine del giorno che sancisce il divieto è stato approvato con i voti della maggioranza (si è astenuto il presidente del consiglio comunale, Fabrizio Grazioso) durante l’ultimo consiglio comunale. A promuovere l’istanza il sindaco di Porto Azzurro Maurizio Papi che ha motivato questa scelta con esigenze di tutela della salute dei cittadini e soprattutto dei giovani. «Nessuno nasce cocainomane o eroinomane – ha spiegato il sindaco – è una scala di cui la cannabis è il primo gradino. Il distributore – ha sottolineato Papi – deve servire solo per la Coca Cola o il chewing gum. Se vogliono andarla ad acquistare a Portoferraio lo facciano pure non a Porto Azzurro. Se dovesse esserci una decisione legale che ce lo impedirà ci adatteremo, ma a me interessa tutelare la salute dei nostri ragazzi. Dobbiamo fare in modo, nei nostri limiti, di salvaguardare la loro integrità fisica e mentale». . Nella delibera comunale viene fatto riferimento, tra le altre cose a quanto espresso dal Consiglio superiore di sanità chiamato dal Ministero della Salute ad esprimersi sul fenomeno della commercializzazione della cannabis light e sulla sicurezza e regolarità dei prodotti contenenti thc nella misura di legge, che con nota dell’aprile 2018 raccomanda di attivare “nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione , misure atte a non consentire la libera vendita di questi prodotti”. Sulla base di queste argomentazioni il sindaco ha invitato il consigliere di minoranza Pinotti che obiettava «se pensava di aprire la mente dei ragazzi imponendo divieti» a metter da parte la politica ed ha annunciato nuove azioni, anche nel suo ruolo di medico di base. «Predisporrò e affiggerò all’interno dell’ambulatorio – ha comunicato Papi – un grosso manifesto invitando i genitori a far fare analisi ai figli fino ai 18 anni. Vedremo cosa verrà fuori. I genitori sapranno dell’esistenza del problema e se vogliono potranno fronteggiarlo. Bisognerebbe partire anche dalle scuole elementari per sensibilizzare i ragazzi».

Il sindaco ha dichiarato guerra su tutti i fronti alla cannabis light ed ha fatto presente durante l’assemblea comunale che chiederà alle forze dell’ordine (che già organizzano incontri nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi alle problematiche legate all’uso di stupefacenti) di svolgere lezioni formative e ai professionisti del settore di informare su argomenti di educazione sessuale “soprattutto le bambine”. È stato quindi approvato il divieto su tutto il territorio comunale di coltivazione della cannabis ed ogni forma di commercio al dettaglio in sede fissa, di prodotti o miscele vegetali che contengano canapa sativa anche a basso tenore di principio attivo. —

Fonte: iltirreno.geolocal.it