da Redazione | 6 Maggio, 2020 | Normative, Italia
Le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale sulla punibilità della coltivazione domestica applicando il principio di offensività in concreto (sentenza n. 12348/2020)
Non è punibile chi coltiva cannabis in casa per uso personale qualora, l’esiguità del numero di piantine e prodotto e i mezzi usati, consentano di escludere lo spaccio. E’ quanto hanno deciso le Sezioni Unite Penali della Cassazione con la sentenza del 16 aprile 2020, n. 12348. (testo in calce)
Sommario
Il caso
Il caso vedeva un uomo essere condannato alla pena di un anno di reclusione e tremila euro di multa per avere coltivato in casa due piantine di cannabis con una riserva di 11 grammi di sostanza stupefacente.
La decisione
Occorre precisare che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è da individuare nella salute, individuale e collettiva, ovvero un valore di rilievo costituzionale che giustifica una risposta sanzionatoria anticipata per il caso di coltivazione di stupefacenti. Ed è proprio la prevedibilità della potenziale produttività uno dei parametri che consente di differenziare la coltivazione penalmente rilevante da una coltivazione modestissima.
Secondo gli ermellini, il reato di coltivazione di stupefacenti è individuabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.
Al tempo stesso, però, debbono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.
La Suprema Corte precisa, altresì, che esiste una risposta sanzionatoria graduata della attività di coltivazione di piante di marijuana; sono lecite e non punibili, per mancanza di tipicità, le coltivazioni domestiche minime effettuate con strumenti e modalità rudimentali da cui si possa ricavare una quantità minima di sostanza drogante destinata ad un uso strettamente ed esclusivamente personale. E’ invece soggetta a sanzione amministrativa, prevista dall’art. 75 del d.p.r. n. 309/1990, la detenzione di sostanza stupefacente destinata in via esclusiva al consumo personale anche se ottenuta con una coltivazione domestica lecita. Ovviamente, alla coltivazione di piante penalmente illecita è possibile applicare l’art. 131-bis c.p., con esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Ma alla coltivazione penalmente illecita di piante è possibile applicare l’art. 73, comma 5, del d.p.r. n. 309/1990, secondo il quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dall’articolo che, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Per tale motivo, non costituisce reato l’attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica destinate ad uso personale. In questo modo viene superata l’equiparazione tra coltivazione in senso tecnico-agraria e domestica, effettuata in passato sempre dalla Cassazione con la sentenza n. 28605/2008, secondo la quale era da configurare come reato qualsiasi coltivazione non autorizzata di piante dalle quali si potessero estrarre sostanze stupefacenti, anche se desinate all’autoconsumo.
da Redazione | 2 Maggio, 2020 | Italia
Buona musica per le orecchie dei consumatori: coltivare piantine di cannabis in casa non è più un reato, lo dice la Cassazione.
Cannabis e Italia sono da sempre state due forze in netto contrasto. Una grande confusione regna tra le menti dei consumatori, che ormai da troppo tempo si chiedono se la marijuana sia legale o meno in Italia. A prescindere dal motivo per il quale questa venga utilizzata, è importante comunque che vi sia una legge che ne disciplini il consumo. Certamente, per i più “appassionati”, anche la coltivazione. La liberalizzazione della cannabis light è stato un passo di fondamentale importanza per il nostro paese, anche se l’argomento ha trovato parecchi oppositori di fronte a sé.
Il concetto di cannabis light
I pregiudizi sulla questione esistono da sempre e probabilmente continueranno a sopravvivere anche quando la marijuana verrà (forse un giorno) completamente legalizzata. Eppure proprio questo periodo di lockdown sta mettendo a dura prova i nervi dei consumatori, sia occasionali che seriali, e sta facendo la fortuna della cosiddetta canapa legale. I pusher di cannabis tradizionale sono fuori dai giochi e la gente sceglie quindi di accontentarsi di una droga definita quasi pulita, non dannosa, e di conseguenza legale. Parliamo di marijuana con un contenuto di Thc (quello responsabile di reazioni come l’euforia, il rilassamento, l’alterazione della coscienza spazio-tempo e delle funzioni sensitive) al di sotto dello 0,5%.
A detta di molti, la cannabis light produce nell’ individuo un effetto analgesico che neutralizza i mal di testa o i dolori articolari e aumenta la concentrazione e lo stato di veglia, non lasciando spazio agli effetti negativi causati dalla marijuana con alte concentrazioni di Thc.
Ma se quest’ultima, definita light, induce i diversi effetti positivi elencati, perché la gente si ostina a guardar di mal’occhio la questione? Per non parlare poi degli scopi medici/terapeutici per i quali viene utilizzata la cannabis. Non approvandone la legalizzazione, l’Italia ha sempre cercato di combattere il consumo di droghe e lo spaccio di queste ultime. Ma privando il libero consumo ed acquisto di una droga leggera, come la marijuana, non si è forse ottenuto l’effetto opposto?
Cannabis: i pro della legalizzazione
La domanda principale è una. Quali risultati ha prodotto sino ad oggi la politica proibizionista riguardante la cannabis? Ha contribuito effettivamente alla lotta alle mafie o ha solo incentivato il mercato dei narcotrafficanti? Sta di fatto che molti Stati nel mondo hanno legalizzato l’utilizzo di cannabis sia per uso personale che per scopi medici. Ciò ha permesso all’economia di questi paesi di ottenere grossi guadagni. Esempio recente è quello del Canada, che nel 2018 ha permesso ai cittadini maggiorenni di acquistare marijuana nei negozi o di coltivarla per un massimo di 4 piante. Il risultato ottenuto dal Canada è stato il guadagno di 41 milioni di dollari. A questi si aggiunge anche l’aumento dei posti di lavoro. Addirittura in uno stato come la Malesia, che ha leggi molto severe nei confronti dell’utilizzo di stupefacenti, l’uso personale della cannabis è stato depenalizzato.
Un’alternativa agli antidolorifici?
Diversi studi affermano che la popolazione ha ottenuto grandi benefici dalla legalizzazione della marijuan. Inoltre, l’assenza di disordini pubblici ha in un certo senso annientato le paure degli oppositori. Il risultato più importante, in termini di salute, derivato dalla legalizzazione della cannabis in stati come il Colorado e Washington, riguarda la rilevante riduzione dell’uso di farmaci antidolorifici da banco e di alcol. Secondo l’indagine, i ragazzi preferirebbero difatti fare uso di cannabis. Ciò ha certamente comportato la diminuzione dell’utilizzo di alcolici e delle conseguenti morti per incidente stradale causati appunto all’abuso di alcool. In Italia i diversi pareri (anche politici) contrastanti hanno fatto sì che la nazione procedesse a piccoli passi in merito alla questione della legalizzazione della cannabis. Le stesse leggi si sono fatte le guerra, contraddicendosi a vicenda nel corso degli anni. Forse l’unico evidente risultato è che il proibizionismo ha fallito nella sua lotta alla droga. E sulla questione cannabis è intervenuta la Cassazione, con una pronuncia da sola comunque non sufficiente.
I sostenitori della cannabis legale in Italia urlano da anni che l’unico modo per disincentivare il giro di danaro tra i criminali, per limitare l’uso illegale tra i giovanissimi e per dare un sostegno alle casse dello Stato, è quello di legalizzare la sostanza.
Cannabis: il piccolo grande passo dell’Italia
Attraverso una sentenza depositata il 16 Aprile 2020, le Sezioni Unite Penali della Cassazione hanno affermato che coltivare in casa piantine di cannabis non è reato. Queste devono essere però destinate esclusivamente all’uso personale. Una sentenza storica quella della Corte di Cassazione sulla cannabis, che ha dato quindi seguito al principio di diritto emesso con una nota provvisoria il 19 Dicembre del 2019. E’ chiaro però che la possibilità di incorrere in sanzioni non è esclusa. La Sezioni Unite hanno quindi affermato il principio di diritto per cui:
“Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità del tipo botanico e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente. Devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili nell’ambito della norma penale: le attività di coltivazioni di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.”
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