Di Giacomo Bulleri
A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 75/2018, il settore canapicolo aveva chiesto a più riprese l’inclusione della cannabis sativa L., in tutte le sue parti, tra le piante officinali quale naturale collocazione di una pianta caratterizzata per le note proprietà benefiche.
Già lo scorso novembre, ad onor del vero, una risoluzione della Commissione Agricoltura aveva impegnato il governo a provvedere in tal senso.
Con D.M. del 23.07.2020 (testo in calce), pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 19.08.2020, il Ministero dell’Agricoltura ha menzionato la “canapa sativa infiorescenza” destinata ad “usi estrattivi” tra le piante officinali stabilendone altresì il prezzo unitario massimo applicabile per la determinazione dei valori assicurabili al mercato agevolato e per l’adesione ai fondi di mutualizzazione nell’anno 2020.
Quali saranno le conseguenze di tale provvedimento?
A parere dello scrivente le conseguenze sono di estrema rilevanza soprattutto se valutate in un contesto più ampio, di cui ho avuto occasione di trattare più volte in passato, circa lo status giuridico della canapa sativa L. e delle infiorescenze in particolare.
Occorre infatti rilevare come lo stesso D.Lgs. n. 75/2018, da un lato, aveva previsto che con successivo decreto si sarebbe dovuto provvedere ad aggiornare l’elenco delle piante officinali sulla scorta del lavoro del tavolo tecnico, da tempo già istituito.
Dall’altro, aveva altresì previsto che le sostanze stupefacenti di cui al DPR 309/1990 sarebbero comunque state escluse dal novero delle piante officinali.
Da ciò discende una fondamentale considerazione: il Ministero ha inserito le infiorescenze di canapa tra le piante officinali per le sue note proprietà ritenendo – evidentemente – come essa non costituisca una sostanza stupefacente.
Non a caso l’art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 75/2018 stabilisce che “Le piante officinali comprendono altresì alcune specie vegetali che in considerazione delle loro proprietà e delle loro caratteristiche funzionali possono essere impiegate, anche in seguito a trasformazione, nelle categorie di prodotti per le quali ciò è consentito dalla normativa di settore, previa verifica del rispetto dei requisiti di conformità richiesti”
Sul punto occorre sottolineare come l’art. 26 già prevedeva una eccezione al generale divieto di coltivazione della cannabis, ossia per la produzione di semi e fibre e per le altre applicazioni industriali (ossia quelle previste dalla normativa comunitaria o, come in questo caso, da specifiche normative di settore).
Per quanto attiene ad eventuali (e prevedibili) ipotesi di conflitto con la normativa sugli stupefacenti, vengono in soccorso (oltre che il generale criterio di specialità) le “note alle premesse” contenute nel medesimo D.Lgs. n. 75/2018, ove è chiaramente specificato che:
“I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) ricognizione e abrogazione espressa delle disposizioni oggetto di abrogazione tacita o implicita, nonché di quelle che siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque obsolete;
b) organizzazione delle disposizioni per settori omogenei o per materie, secondo il contenuto precettivo di ciascuna di esse, anche al fine di semplificare il linguaggio normativo;
c) coordinamento delle disposizioni, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo;
d) risoluzione di eventuali incongruenze e antinomie tenendo conto dei consolidati orientamenti giurisprudenziali”.
Appare pertanto evidente come lo scopo del decreto in commento è proprio quello di superare i dubbi, gli equivoci e le antinomie che da tempo hanno frenato proprio il settore della canapa industriale.
E’ appena il caso di ricordare che la coltivazione e la trasformazione della canapa in questione (cd. canapa industriale proveniente da varietà certificate con tenore di THC inferiori allo 0,2%) era già lecita – in virtù delle precisioni della L. n. 242/2016 – per l’ottenimento dei prodotti elencati dall’art. 2 di tale legge.
La menzione delle infiorescenze di canapa sativa tra le piante officinali produce pertanto l’effetto di far rientrare le medesime, oltre che nella generica disciplina della legge-quadro n. 242/2016, anche nella disciplina di cui al D.Lgs. n 75/2018 il quale costituisce il Testo Unico in materia di piante officinali.
Ne consegue che la canapa sativa potrà essere coltivata (purché proveniente da varietà certificate con tenore di THC inferiore allo 0,2%) e trasformata non solo per le finalità elencate dall’art. 2 della L. n. 242/2016 (alimenti, cosmetici, semilavorati, materiale per bioedilizia, bioplastiche, florovivaismo), ma anche quale pianta officinale secondo quanto previsto dall’art. 2, c. 4 del D.Lgs. n. 75/2018:
“Il risultato dell’attività di coltivazione o di raccolta delle singole specie di piante officinali può essere impiegato direttamente, oppure essere sottoposto a operazioni di prima trasformazione indispensabili alle esigenze produttive, consistenti nelle attività di lavaggio, defoliazione, cernita, assortimento, mondatura, essiccazione, taglio e selezione, polverizzazione delle erbe secche e ottenimento di olii essenziali da piante fresche direttamente in azienda agricola, nel caso in cui quest’ultima attività necessiti di essere effettuata con piante e parti di piante fresche appena raccolte. È altresì inclusa nella fase di prima trasformazione indispensabile alle esigenze produttive qualsiasi attività volta a stabilizzare e conservare il prodotto destinato alle fasi successive della filiera”
La coltivazione, la raccolta e la prima trasformazione delle piante officinali, sono considerate attività agricole, ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile”.
Pertanto sarà consentita non solo la coltivazione, ma anche la prima lavorazione delle infiorescenze, quale attività di tipo agricolo.
In sostanza l’azienda agricola ben potrà sia coltivare (seguendo le GACP) sia eseguire in azienda (oppure anche conferendo a terzi) le prime lavorazioni sopra menzionate sulle infiorescenze di canapa destinate ad uso estrattivo.
Occorre poi sottolineare come, in realtà, l’impostazione sopra riportata risulti conforme anche all’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità in materia di cannabis. Come noto, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato come “ogni condotta di cessione o di commercializzazione di categorie di prodotti, ricavati dalla coltivazione agroindustriale della cannabis sativa L., quali foglie, infiorescenze, olio e resina, diversi da quelli tassativamente indicati dall’art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016, da un lato è estranea dall’ambito di operatività della predetta legge, dall’altro integra una attività illecita, secondo la generale disciplina contenuta nel T.U. stup.. Segnatamente, le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell’art. 1, comma 2, legge n. 242 del 2016 e la realizzazione di prodotti diversi da quelli inseriti nell’elenco di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 242 cit., risultano penalmente rilevanti” (v. Corte di Cass., SS.UU. n. 30475/2018; conforme Cass. Civ., sez III, n. 14735/2020).
Ne consegue che anche secondo la Cassazione è la destinazione che rende lecita la canapa sativa coltivata, non altri parametri.
Per cui se le infiorescenze di canapa industriale “ad uso estrattivo” sono una pianta officinale va da sé che, per tale specifica destinazione, non potranno considerarsi uno stupefacente.
Tale inclusione, inoltre, consentirà di ottenere estratti e tinture da infiorescenze di canapa industriale prodotte e commercializzate secondo la normativa di settore delle piante officinali ed erboristica, delineando così una chiara filiera produttiva agro-industriale.
Ciò comporterà la liceità di produrre oli essenziali, terpeni ecc. estratti dalle infiorescenze di canapa sativa L. coltivate secondo la L. n. 242/2016 e nel rispetto delle Good Agricoltural Collecting Practice e commercializzati secondo la specifica normativa di settore.
Si potrebbe ritenere che tale impostazione porterà ad una potenziale apertura per il consumo umano dei derivati officinali canapa, sinora limitati, in Italia, ai soli semi e derivati a destinazione alimentare o di integratori alimentari.
Insomma il Decreto in commento, in poche righe, può rappresentare la definitiva affermazione di una filiera che negli ultimi anni è stata limitata da ingiustificati pregiudizi ed interpretazioni normative obsolete che ancora non si erano conformate al diritto vivente ed alle rinnovate esigenze della società moderna.
Finalmente la canapa sativa viene infatti inserita in un documento a carattere agricolo insieme ad altri prodotti (bardana e verbena per rimanere alle piante officinali, ma anche vino, frumento, frutta ed ortaggi) affermando con forza un punto fondamentale della questione: la canapa sativa è un prodotto agricolo, non una droga.
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