La canapa potrebbe essere il nuovo «green business» dalla uova d’oro? Lo abbiamo chiesto a Pierluigi Santoro, founder di Fioridoro, attivo nella coltivazione di cannabis e produzione di biomassa per l’industria
Se associate la cannabis solo alla pianta che viene usata per uso ricreativo o per le sue virtù terapeutiche, siete fuori strada. Da tempi antichissimi la cannabis sativa è stata usata per ricavare fibre tessili e come materia prima per la produzione di carta (che richiede meno additivi chimici di quella di legno e ha nella coltivazione una resa quattro volte superiore). La stessa cannabis (sempre quella sativa) che a differenza della sua sorella indica, a forte contenuto di THC (quella illegale), è usata anche per produrre plastica biodegradabile, combustibile, bottoni e persino mattoni. E che in campo alimentare con il suo olio è famoso per l’alto contenuto di Omega 3 e Omega 6, mentre semi e farina sono proteici e ricchi di vitamine e minerali. Per non parlare delle sue virtù di bellezza, dato che viene usata come ingrediente per prodotti cosmetici.
Datemi un seme e cambierò il mondo
Un uso in settori che vanno ben oltre la semplice «cannabis light» e spaziano dalla cosmesi alla farmaceutica al tessile fino alla bioedilizia. «Le virtù della cannabis erano ben note fin dall’antichità. L’Italia fino agli anni ‘40 era la seconda produttrice mondiale di canapa, poi il proibizionismo ha bloccato tutto» ci spiega Pierpaolo Santoro, uno che di cannabis se ne intende.
Agronomo, dopo aver lavorato in USA per il lancio di una startup nel campo dei biocarburanti e ad Amsterdam, Santoro ha fondato tre anni fa la Fioridoro, tra le prime aziende specializzate nella riproduzione delle piante a bassa contenuto di THC ma alto di altri cannabinodi ai fini estrattivi. «Siamo un’impresa vivaistica che si occupa della riproduzione di piante di cannabis certificate», spiega l’imprenditore e agronomo, tra i primi ad avviare il business per la produzione di piantine di cannabis in Italia. «La base si trova a Grottaglie, nel tarantino, dove organizziamo, insieme alle aziende farmaceutiche e gli agricoltori, filiere per la coltivazione della cannabis usata sia come biomassa per scopi industriali, ma anche a scopo ricreativo (la cannabis legale). Le coltivazioni avvengono a Napoli, in Sicilia e Sardegn, mentre a Viareggio c’è il laboratorio di ricerca e sviluppo».
Un green new deal molto promettente
La Filodoro e le altre concorrenti si muovono in un mercato molto promettente. Secondo una ricerca della società londinese Prohibition Partners aggiornata al primo trimestre 2019, per la parte agricola il giro d’affari è di circa 40 milioni, sul valore finale del mercato italiano, considerando tutti i possibili usi e l’indotto, le stime oscillano tra i 7,3 e i 30 miliardi potenziali nel giro dei prossimi dieci anni, equamente divisi come provenienza tra settore medico-farmaceutico e uso ricreativo.
«Lo dico da imprenditore: è un settore molto ricco in cui bisognerebbe investire. Per questo ci vorrebbe più coraggio con nuove leggi meno stringenti. La cannabis è una pianta officinale ed una concreta opportunità per il paese, soprattutto per il sud Italia, dove il clima per la coltivazione consente una qualità altissima e dove si potrebbe creare una vera e propria economia della canapa dove il nostro Paese potrebbe davvero diventare un punto di riferimento per l’Europa esportando know-how ad altri paesi. Penso alla Francia che sta sviluppando il business».
Pierluigi ci crede, tanto da essere il portavoce del CSI – Canapa Sativa Italia, una delle associazioni che raggruppa produttori italiani di canapa industriale, insieme a Federcanapa, riconosciute dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e che ha voluto istituire un tavolo tecnico permanente della canapa (come avviene per gli altri settori agricoli).
Nell’immediato futuro di Fioridoro l’intenzione è quella di produrre piantine di altissima qualità a costi contenuti grazie al miglioramento genetico delle piante per aumentare la produttività e qualità della cannabis. «Abbiamo stretto un accordo con l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche per sviluppare nuove varietà che saranno poi registrate nel catalogo Europeo e in grado di avere performance migliori in termini di cannabinoidi e produzione di biomassa» conclude Santoro.
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