Non c’è ancora grande chiarezza in Italia a proposito della coltivazione della cannabis a casa o comunque in un ambiente domestico
Non c’è ancora grande chiarezza in Italia a proposito della coltivazione della cannabis a casa o comunque in un ambiente domestico. Per questo motivo, i semi che si trovano in commercio nei negozi specializzati e sulle piattaforme online sono al momento venduti esclusivamente come semi da collezione. Essi forniscono una vasta gamma di strain e varie tipologie come ad esempio i semi di cannabis femminizzati o autofiorenti.
Le ragioni di questa confusione sull’argomento sono da ricercare sia in un generale stigma della pianta di cannabis, che si è protratta a lungo a partire dal periodo del proibizionismo degli anni ’30, ma soprattutto a causa del fatto che il legislatore italiano, e se è per questo neanche quello europeo, non si è occupato direttamente della questione. La giurisprudenza ha quindi cercato di colmare questa lacuna normativa, ma gli orientamenti della Corte di Cassazione che si sono susseguiti nel tempo sono stati altalenanti e quindi dubbi rimangono sulla possibilità o meno della coltivazione domestica di piante di cannabis.
– I motivi delle incertezze
Andando ad analizzare più nello specifico il primo punto, si sottolinea come la collocazione della marijuana e di tutte le sostanze che la compongono tra le sostanze stupefacenti non aveva permesso di apprezzarne le proprietà. Una volta che questo atteggiamento si è allentato, gli studi hanno mostrato come questa pianta invece potesse avere svariati utilizzi tra cui la bonifica dei terreni, usi terapeutici, la costruzione di biomateriali molto resistenti in ambito edilizio e anche per tessuti; inoltre alcuni semi di canapa e l’olio che se ne può derivare sono utilizzati per uso alimentare, perché si sono dimostrati fonte di numerose proprietà nutritive e benefiche molto importanti.
Di pari passo con queste scoperte scientifiche, sono state emanate delle leggi e direttive su questo tema, che però si sono concentrate prevalentemente sulla coltivazione a uso industriale delle piante di cannabis, per la produzione dei prodotti a base di questa specie vegetale ammessi dagli ordinamenti. In particolare, in Italia sono permesse le colture di marijuana anche senza autorizzazione quando la concentrazione di THC nelle infiorescenze sia minore dello 0,2%. Un regime di tolleranza si ha fino allo 0,6%, per il quale il breeder potrebbe semplicemente essere sottoposto a sanzione amministrativa e non penale.
Come anticipato, niente si dice a proposito della coltivazione domestica. È stata allora la giurisprudenza ad occuparsi della materia: per lungo tempo essa è stata considerata illegale tout court, nel senso che il giudice di Cassazione ha rilevato che, quando l’intento sia la protezione della salute e della sicurezza pubbliche, coltivare marijuana in casa non poteva che essere bandita. Difatti, non vi poteva essere certezza che il breeder non intendesse vendere il raccolto e, quindi, integrare quei reati che vietano lo spaccio. Per evitare questo pericolo, solo il fatto che si avesse in casa un arbusto che corrispondesse a quella specie vegetale comportava delle sanzioni, anche gravi.
Nella sentenza del 4 dicembre del 2019 si legge una cosa molto diversa, con una sentenza in cui i giudici vanno ad elaborare logicamente lo stesso punto di partenza delle precedenti decisioni della Corte (da ultimo del maggio dello stesso anno), cioè la salute pubblica e la sicurezza dei cittadini rispetto alla condotta di coltivazione di cannabis, ma giungendo a un risultato completamente diverso.
Quello che la Cassazione a Sezioni Unite sostanzialmente dice è: se i valori che vogliamo proteggere sono quelli sopra descritti, la condotta di chi fa crescere delle piante di marijuana in casa deve concretamente essere potenzialmente lesiva di questi diritti elevati a inderogabili dalla nostra Costituzione. Per questo nella sentenza si illustrano tutta una serie di criteri che possano far presumere che la coltivazione della pianta sia a mero uso personale, che la Corte considera lecita, salva, ovviamente la prova contraria. In particolare, gli ermellini fanno riferimento al numero esiguo di piante e quindi del prodotto che se ne potrebbe trarre, l’attrezzatura non professionale e simili. A chiusura lascia uno spazio aperto per dimostrare che invece la coltivazione è volta allo spaccio, affermando che tutte queste circostanze sono rilevanti per giudicare positivamente la condotta del breeder che può essere considerata legale, “a meno che da altri indizi non si possa desumere il contrario”.
– Un nuovo mercato?
Dalle recenti aperture sia in materia di uso personale di cannabis che quella giurisprudenziale per la coltivazione della pianta in ambito domestico, si prospetta la possibile apertura di un nuovo mercato. Qualora, infatti, l’orientamento della Corte di Cassazione fosse confermato anche da una legge, che ne regolasse anche le condizioni di liceità, potrebbe essere permessa la vendita di semi non solo ad uso collezionistico, come quelli di SensorySeeds.it, ma anche per la coltivazione per uso personale.
Si tratterebbe di un altro passo verso una legalizzazione almeno parziale, che viene richiesta in quasi tutto il mondo e che, pian piano si sta affermando. Esempi di lotta in questo senso è sicuramente il Canada, che ha combattuto strenuamente per questo diritto con ottimi risultati e, ovviamente, l’Olanda dove questa libertà ha permesso di convogliare i guadagni di un mercato illegale nelle casse dello Stato e degli imprenditori, contribuendo a una maggiore ricchezza complessiva e alla lotta contro pratiche di spaccio illecite. Aspettiamo il verdetto del legislatore italiano.
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