Nel nostro Paese la disciplina della cannabis è oggetto di interrogativi che sono frutto di una grande varietà di interpretazioni diverse. La colpa, se così si può definire, deve essere attribuita al fatto che l’impianto normativo di riferimento nel corso del tempo si è visto superare da tante misure che in alcune circostanze addirittura hanno abrogato i principi di partenza. Un punto fermo sembra essere costituito, però, dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 19 dicembre del 2019, secondo la quale non si può ritenere una condotta colpevole la coltivazione per uso personale, ammesso che esistano degli espliciti indici presuntivi sotto questo aspetto.

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Le leggi da conoscere

Tra i prodotti della pianta di canapa che secondo la legge 242 del 2016 (articolo 3) possono essere venduti non sono menzionate le infiorescenze. Tuttavia il Ministero dell’Agricoltura nel 2018 ha emanato una circolare che ha fatto chiarezza in merito: essa si concentra sul florovivaismo e sottolinea che è possibile vendere le infiorescenze senza alcun limite, eccezion fatta per quello relativo al livello di THC che deve essere più basso dello 0.6%. In seguito il Ministero della Salute ha diffuso due ulteriori provvedimenti grazie a cui l’utilizzo della cannabis è stato esteso. Sulla Gazzetta Ufficiale del 2018 è stato pubblicato un decreto ministeriale che ha rimosso le limitazioni che erano previste per l’uso della cannabis a scopo terapeutico. Il decreto del 4 novembre del 2019, invece, ha stabilito i limiti da rispettare per l’impiego a scopo alimentare dei derivati della cannabis.

L’evoluzione del quadro normativo

Per quel che concerne il consumo della canapa light per via orale, e dei prodotti della cannabis in un quadro più ampio, fino a qualche anno fa era concreto il pericolo che le norme venissero interpretate in maniera non corretta. La situazione adesso è cambiata e non esistono più perplessità in merito, in virtù del decreto del 2019 relativo alle farine e ai semi con un contenuto di THC più basso dello 0.2% (mentre la soglia è dello 0.5% per gli oli). Il legislatore durante gli anni più recenti ha messo in mostra un livello di permissività più elevato nel campo della cannabis.

Un settore fin troppo stigmatizzato

Perfino la Corte di Cassazione è scesa in campo per sottolineare come sia il caso di non stigmatizzare più il settore. La giurisprudenza in materia di marijuana aveva sempre evidenziato un certo rigore, anche in relazione alla coltivazione in casa di piante di canapa. Oggi la situazione è mutata, e non viene più punito chi si limita a coltivare in casa piante di canapa per uso personale. In particolare, non si fa più riferimento a quella che veniva considerata la potenzialità lesiva della coltivazione, che in precedenza veniva ritenuta in grado di foraggiare il mercato illegale.

Quali sono le sostanze stupefacenti

Si possono ritenere sostanze stupefacenti le piante di cannabis con un livello di THC superiore allo 0.6%, secondo la definizione riportata sul Testo unico sulle sostanze stupefacenti che risale al 1990. Va detto, comunque, che numerose ricerche hanno smentito qualsiasi genere di effetto psicotropo della cannabis light. Il CBD presente nella canapa legale non provoca assuefazione e non altera lo stato di salute dei consumatori.

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