Chi ha più di 50 anni ricorda bene l’odore acre e pungente che la canapa dei Regi Lagni diffondeva dalle campagne ai centri abitati dove si svolgevano le attività tessili. A quei tempi il limpido fiume Clanio era meta di allegre scampagnate per le famiglie contadine e operaie. Quando le sue rive sono state cementificate per contenere le esondazioni, il corso d’acqua si è ridotto a canale di raccolta delle acque piovane utilizzate per irrigare i campi.

Oggi le stesse zone site tra la provincia di Napoli e Caserta emanano diffusamente un intenso maleodore provocato dagli impianti di smaltimento rifiuti e di depurazione. Il Clanio è diventato sfogo di innumerevoli sversamenti, cosicché in alcuni punti sembra una fogna a cielo aperto. Come se non bastasse, episodici roghi tossici caratterizzano da molti anni quella che è stata ribattezzata Terra dei Fuochi.

Insieme alle coltivazioni di canapa, anche il lavoro artigianale e industriale delle resistenti e dure fibre è ormai solo un ricordo della Campania Felix.
Le aziende locali hanno rinunciato alla canapa e per i lavori di tessitura odierni impiegano fibre naturali apparentemente più convenienti.

Il blocco dello sviluppo tecnologico ha inciso molto sul declino della filatura della canapa. Tornare al tradizionale faticoso processo agricolo di macerazione e separazione della fibra dal canapulo è impensabile.

Attualmente in Italia i centri di trasformazione delle fibre di canapa si riducono a due: uno in Piemonte e l’altro in Puglia. I costi di trasporto della merce da lavorare sono però troppo alti per le imprese campane che in passato commerciavano la canapa.

I tessuti commerciati dalle aziende italiane sono fabbricati con fibre a basso costo provenienti dall’estero. Da molti anni infatti la canapa a fini tessili è diventata appannaggio dei paesi ad est dell’Europa e del Mondo.
E’ da escludere che in breve tempo questa economia verde possa essere rilanciata a partire dal settore dei filati italiani.

Nel primo Novecento il nostro paese deteneva il primato europeo nella produzione ed esportazione di canapa destinata all’industria tessile e cartaria. Il potenziale di questa pianta è celebrato ancora con orgoglio dagli agricoltori e imprenditori delle regioni che erano vocate alla sua coltivazione (Emilia Romagna, Campania, Veneto, Piemonte). La tradizione contadina ha definito tale coltura “maiale verde” poiché nulla viene sprecato della materia vegetale

Tale coltura meriterebbe dunque di essere ripristinata e opportunamente rilanciata nell’area campana.


Investire nel progresso tecnologico dei processi produttivi della canapa avrebbe incontestabili effetti positivi per l’intera comunità. Oltre al benefico consumo alimentare, persino l’inalazione del CDB, principio attivo derivato dalle infiorescenze, può essere utile a contrastare una dannosa dipendenza da nicotina.

Anche a livello europeo la normativa comunitaria favorisce le coltivazioni commerciali di canapa tramite, ad esempio, il regime di aiuti finanziari in vigore dalla fine degli anni ’80 nel contesto della Politica Agricola Comune. Unico requisito per ricevere i pagamenti dall’Unione Europea è l’utilizzo delle sementi certificate a tenore di THC inferiore allo 0,2%.

Per i comuni atellani della Terra dei Fuochi che hanno vissuto ascesa e decadenza dell’economia canapiera l’auspicio è di ritornare agli antichi profumi e colori della Terra di Lavoro.

Fonte: https://www.dolcevitaonline.it/il-posto-della-canapa-nella-terra-dei-fuochi/